Diete e dintorni
Digiuno intermittente: contano le calorie

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Stesse calorie, stesso dimagramento. Un recentissimo studio ha messo a confronto i risultati del digiuno intermittente e della dieta ipocalorica, scoprendo che, quando si vuole perdere peso, quello che importa davvero non sono gli orari ma la riduzione energetica

“Non possiamo cenare insieme, semmai ti faccio compagnia: sto seguendo il digiuno intermittente”. A quanti di noi non è capitato in questi anni di sentire (o di pronunciare) frasi simili a questa? L’approccio di far rientrare tutti i pasti in un arco di tempo, la cosiddetta finestra alimentare, per la sua semplicità è diventato davvero molto popolare. Di conseguenza anche la ricerca scientifica se ne sta occupando per verificarne l’efficacia, ad esempio confrontando i diversi tipi di digiuno intermittente (se ne parla in questo podcast), oppure verificandone gli effetti terapeutici, come quelli sul diabete e glicemia (se ne parla qui). O ancora, comparando gli effetti sul dimagrimento con altri approcci dietetici. Proprio come in questo studio, piccolo ma molto ben ideato, della Johns Hopkins University, presentato al congresso dell'American College of Physician's che si è tenuto in questi giorni a Boston, e pubblicato su Annals of Internal Medicine.

Prima di parlarne, una piccola premessa per non fare confusione. Sotto il grande ombrello delle diete che prevedono una restrizione temporale (note come time-restricted eating o intermittent fasting) rientrano, più o meno erroneamente, anche interventi che hanno principalmente una valenza terapeutica, come è il caso della dieta mima digiuno (dei suoi effetti sulla longevità si parla in questo recente post). Va perciò sottolineato che la ricerca USA in oggetto ha ristretto il campo confrontando l’azione sul peso esercitata da un tipo molto comune di digiuno intermittente (8:18, ossia dalle otto del mattino alle sei del pomeriggio) con quella di una classica dieta ipocalorica. Valutando anche eventuali differenze su glicemia e altri valori come i grassi nel sangue o la pressione.

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I pasti? Preparati dai ricercatori

Il team di ricercatori della Johns Hopkins University di Baltimora ha reclutato 41 adulti obesi con problemi di glicemia alta o già con il diabete, controllato con la dieta. Sono stati divisi in due gruppi: nel primo (chiamato TRE, time-restricted eating), dovevano nutrirsi secondo le modalità del digiuno intermittente confinando i pasti del giorno in un arco di dieci ore, ovvero tra le otto e le sei del pomeriggio, con l’indicazione di consumare la maggioranza dei pasti entro l’una; nel secondo gruppo, ossia quello della classica dieta ipocalorica, le persone erano libere di nutrirsi dalle otto di mattina fino a mezzanotte, con l’indicazione di mangiare dopo le cinque del pomeriggio la maggior parte delle calorie previste.

Quindi, una volta a settimana, e per una durata complessiva di 12 settimane, a ogni partecipante sono stati consegnati 21 pasti preparati dalla cucina dello studio, con il fabbisogno calorico di base calcolato per ciascuno e la stessa composizione di macro (proteine, carboidrati, grassi) e micronutrienti (vitamine, minerali). Tutti potevano consumare a piacere bevande prive di calorie e caffeina approvate dallo studio, oltre a quasi 240 ml di caffè e una bevanda alcolica al giorno. Ai partecipanti è stato detto di mantenere il loro abituale livello di attività fisica. Riassumendo, ogni volontario aveva uno schema dietetico personalizzato e consumava solo gli alimenti che riceveva: in questo modo sia il numero di calorie che di nutrienti consumati erano certi.

Poche differenze

Quali gli effetti sul peso? La perdita di peso media è stata di 2,3 kg nel gruppo TRE e di 2,6 kg nell’altro gruppo. "I nostri risultati indicano che quando l'assunzione di cibo è bilanciata tra i gruppi e le calorie sono mantenute costanti, il digiuno intermittente non migliora la perdita di peso", ha affermato Nisa M. Maruthur nella presentazione al congresso insieme agli altri autori dello studio. "Quando gli interventi TRE riducono il peso corporeo, come visto in diversi studi, un meccanismo è probabilmente la riduzione dell'apporto calorico."

Passando agli altri risultati legati ai marker metabolici, Il gruppo TRE ha avuto un lieve calo della glicemia a digiuno rispetto all’altro gruppo ma la differenza non era statisticamente significativa. Ugualmente non sono state notate differenze significative riguardo la resistenza all’insulina, la risposta glicemica post-prandiale, l’albumina glicata, la pressione o i lipidi nel sangue.

E sebbene l'attività fisica variasse leggermente, con il gruppo TRE con meno minuti attivi rispetto all’altro, anche questa differenza non è stata ritenuta significativa.

Quali conclusioni principali?

La prima è che il digiuno intermittente, a parità di calorie, non fa perdere più peso rispetto a una normale dieta, e quindi non ha dei misteriosi poteri dimagranti. Dalla sua, però, ha il vantaggio di essere più facile da seguire. Invece di stare attenti a porzioni e spuntini, sapere che si mangia solo per poche ore al giorno può risultare preferibile per molte persone. Come sempre, chi combatte con la bilancia deve scegliere una strategia che lo stressi il meno possibile, perché spesso sono percorsi molto lunghi, se non permanenti.

Ma, a prescindere dal fatto che si preferisca un metodo o l’altro, la cosa davvero fondamentale è alimentarsi (o imparare ad alimentarsi) in modo sano e bilanciato, seguendo una dieta basata su alimenti freschi e vegetali. Poi ognuno deciderà in che orario o modo preferisce farlo…

Digiuno intermittente: contano le calorie - Ultima modifica: 2024-04-29T07:47:01+02:00 da Barbara Asprea

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