Ogni tanto arrivano buone notizie che riguardano e coinvolgono sia il mondo agricolo in tutte le sue molteplici diramazioni, sia noi comuni consumatori che dell’agricoltura dovremmo avere grande considerazione e interessamento attivo anche se non ci coinvolge direttamente.
Molti prodotti lavorati che compriamo, oltre naturalmente ai cibi freschi, basano la loro ragione di vita sulla presenza di uno o più elementi vegetali che derivano dalla produzione agricola, una sinergia che in teoria dovrebbe servire anche a coprire l’eccesso di materie prime sul mercato.
Certo poi serve che un prodotto lavorato e trasformato ci sia realmente in ciò che compriamo e non sia solo un richiamo di persuasione per invogliarci all'acquisto.
Il caso più eclatante è forse quello delle arance di cui fino ad oggi abbiamo visto due facce poco piacevoli rispetto alla loro presenza commerciale e stagionale.
Da un lato eccessi produttivi o forse più correttamente quantità non distribuibili per regolamenti vari che in mancanza di sbocchi venivano mandate al macero con estrema noncuranza.
Dall’altro quando magari in un periodo diverso da quello stagionale o per motivi di praticità si è ricorsi a bevande a base di arancia l’amara sorpresa di constatare quanto questo frutto sia in realtà in una dose che si stenta a capire.
Fino a ieri, infatti, la legge imponeva solamente un minimo del 12% di reale contenuto di succo d’arancia nelle bevande analcoliche di diversa tipologia prodotte in Italia.
Bevande che spesso mettono in risalto a livello visivo il frutto in abbondanza dando l'impressione primaria di una riserva abbondante del succo al naturale.
Da oggi invece, uniformandoci alle normative Europee, il quantitativo minimo deve essere del 20%, un aumento che può sembrare irrisorio, ma che invece incide tantissimo a livello di miglioramento dell’utilizzo delle arance fresche in funzione antispreco.
Migliorando per altro con più equità e remunerazione tutto il lavoro che viene fatto nei campi con molta fatica.
E anche se il compenso rispetto al prezzo di vendita finale dei succhi rimane sempre estremamente basso per gli agricoltori in questo modo si riescono a salvare dall’abbandono oltre diecimila ettari di agrumeti italiani ubicati in prevalenza in regioni calde del sud come la Sicilia e la Calabria.
In più per noi consumatori finali, per quanto indubbiamente è sempre meglio farsi da se una spremuta fresca direttamente dal frutto, nei casi in cui non abbiamo alternativa possiamo garantirci con la soglia minima del 20% un migliore raggiungimento del fabbisogno giornaliero di vitamina C.
In conclusione siamo comunque in presenza di una buona notizia che può influenzare anche la preparazione di alcuni dessert speciali che si basano sui succhi pronti e di cui magari ci occupiamo prossimamente!