Agri e buoni a piccole dosi


Poche gocce donano ai piatti quel tocco di aroma e sapore in più, oltre a preziose sostanze nutritive. Parliamo delle salse fermentate, dagli aceti di vino e di mele, alle più esotiche salse di soia. Per scoprire tutti i segreti di questi antichi “elisir”

La scoperta dell’aceto avvenne casualmente, lasciando inacidire all’aria del vino, circa cinquemila anni fa. Un condimento già molto apprezzato da greci e romani che ne portavano in tavola una coppa affinché ogni commensale vi potesse intingere il pane. Era inoltre usato nella cura di alcune malattie, per purificare l’aria, in particolare nelle camere dei malati come tonico e rimedio contro l’emicrania. Bartolomeo Platina, nel suo Il piacere onesto e la buona salute, scritto nel 1474, favoleggia di Annibale che, sulle Alpi, avrebbe sparso aceto sulle rocce per spaccarle più facilmente e aprirsi così il varco verso l’Italia. Aceto deriva dal latino acetum, ed ha la stessa radice etimologica del verbo acere, che significa inacidire. Si tratta di un condimento acido ottenuto grazie all’azione di batteri (gli acetobacter) che, in presenza di aria e di temperature prossime ai 25-30 °C, trasformano l’alcol, contenuto in vino, sidro, birra e altre bevande alcoliche, in acido acetico. Il sapore acido è dovuto per l’appunto alla presenza di acido acetico, contenuto in una percentuale variabile dal 3 al 6%. Per “acidità degli aceti”, secondo la legislazione italiana, si intende l'acidità totale espressa in grammi di acido acetico per 100 millilitri di liquido.

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L'aceto di vino

Nel nostro Paese, la denominazione di “aceto di vino” è riservata ai prodotti ottenuti dalla fermentazione acetica dei vini con un’acidità totale non inferiore a 6 grammi per 100 millilitri e che presentano alla fine un quantitativo di alcol non superiore all’1,5% in volume. Nella preparazione dell’aceto, oltre alle pratiche e ai trattamenti ammessi per i vini, è consentita l’aggiunta di acqua purché venga effettuata negli acetifici. Per la colorazione è ammesso solo l’uso dell’enocianina, colorante naturale dell’uva rossa.
L’aceto può essere distinto per colore, a seconda del vino base utilizzato: si ha dunque l’aceto bianco, quello rosato e quello rosso (dal sapore più deciso). Infine, l’aceto di vino si divide in cinque categorie. Vediamo che cosa le distingue.

•    Comune: prodotto con vino non pregiato, mediante fermentazione rapida, chiarificato e filtrato.
•    Di qualità: derivato da vino pregiato, mediante fermentazione lenta e successivo invecchiamento in botti.
•    Aromatizzato: prodotto utilizzando aceto di qualità a cui vengono aggiunte erbe aromatiche.
•    Decolorato: destinato all’industria alimentare per la conservazione delle verdure e delle conserve.
•    Speciale: identifica tipologie particolari di aceto fra cui i balsamici.
Cento grammi di aceto forniscono 4 calorie e contengono 0,6 g di carboidrati, 0,5 g di fibre, 0,4 g di proteine, 50 mg di calcio, 10 mg di ferro e niente grassi. Nelle insalate, conviene distribuirlo dopo il sale (e prima dell’olio) poiché contribuisce a scioglierlo.

Aceti balsamici tradizionali

Tutti abbiamo in casa una bottiglietta di aceto balsamico di Modena. Ma l’aceto balsamico “tradizionale” di Modena Dop e quello di Reggio Emilia Dop, costituiscono una realtà di pregio nel panorama degli aceti. Il balsamico tradizionale è ottenuto attraverso una lunga lavorazione che prevede la cottura del mosto a fuoco diretto e a vaso aperto fino a  raggiungere una concentrazione mediamente intorno al 50%. Il mosto è ottenuto da uve tipiche della zona di origine e l’invecchiamento dura diversi anni (almeno 12), in “batterie” di botti di legno di essenze diverse che ne arricchiscono il contenuto aromatico. Dopo questa lunga lavorazione, l’aceto balsamico ha un aspetto e un profumo intenso. Il sapore non è necessariamente acido, ma può variare ed essere anche piuttosto dolce. Il colore è simile alla liquirizia e la consistenza è sciropposa. Bastano poche gocce per trasferire gli aromi dalla bottiglietta alle pietanze, siano esse verdure, frittate, formaggi stagionati, fragole o risotti.

L'aceto di mele

L’aceto di mele si ottiene dalla fermentazione acetica, ad opera di un ceppo di acetobacter, del sidro ottenuto a sua volta dal succo di mela fatto fermentare per 20-60 giorni. Quando, dopo alcuni mesi, il sidro fermentato raggiunge un tasso di acidità del 5% circa, può essere pastorizzato e imbottigliato, oppure lasciato maturare imbottigliato, oppure lasciato maturare in botti di legno, facendo così migliorare ulteriormente le sue caratteristiche. La possibilità o meno di un lungo invecchiamento dipende dalla qualità della materia prima, in modo particolare dal contenuto in zuccheri e dalla sanità dei frutti. Alcune aziende, attente alla vitalità dei loro prodotti, evitano la pastorizzazione. Al momento dell’acquisto è utile leggere bene l’etichetta. In particolare, bisogna prestare attenzione che l’aceto sia stato ottenuto da mele intere e non da parti di mele (come torsoli e bucce), sottoprodotti di scarto dopo averne utilizzata la polpa per fabbricare succhi e omogeneizzati. È preferibile scegliere un aceto proveniente da mele di coltivazione biologica, in quanto prive di residui antiparassitari. Un buon aceto di mele deve avere un colore giallo miele o dorato, che può tendere al rosato. Per quanto riguarda le proprietà nutrizionali, l’aceto di mele apporta potassio, calcio, fosforo, cloro, magnesio, zolfo, ferro, fluoro, silicio, nonché vitamine B2 e B3.

Libro: Curarsi in modo naturale con l'aceto di mele

Il tamari e lo shoyu

Molto sfruttate nella cucina orientale, da cui peraltro provengono, il tamari e il shoyu sono due salse ottenute dalla fermentazione della soia, alternative esotiche al nostro tradizionale aceto.
Il tamari è una salsa di soia dal gusto pieno, spiccatamente salato e dal sapore forte, quasi di carne. Deriva dalla fermentazione naturale di acqua, sale marino e fagioli di soia, posti in barili di legno per un periodo da 18 a 24 mesi e poi pressati. È tradizionalmente usato, con poche gocce, per condire piatti di riso, pesce, cereali e piatti a base di verdure cotte o crude, in sostituzione del sale. Naturalmente contiene una discreta percentuale di proteine (10,5%), poco sodio e niente glutine.
Il shoyu è una salsa ricavata dalla fermentazione per alcuni mesi della soia gialla e del frumento, con acqua e sale marino. Di sapore e odore caratteristico si può utilizzare durante la cottura dei cibi o, in alternativa, nel piatto pronto. Ha un contenuto proteico del 5-6%. Sia il tamari sia il shoyu, essendo derivati dalla soia, sono da preferire nella versione biologica, esente da organismi geneticamente modificati.

Agri e buoni a piccole dosi - Ultima modifica: 2013-09-24T00:00:00+02:00 da Redazione

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