Il potere delle spezie
Un’estate piccante ma non troppo

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Scopriamo perché, quando le temperature sono alte, può diventare consigliabile non esagerare col peperoncino. Spoiler: se si mangia da soli queste cautele non servono…

Si dice che chi ama arricchire i piatti con spezie come il peperoncino - specie in paesi come il nostro nel quale il piccante non è la normalità - desideri ricevere una scossa dai cibi, stimoli sensoriali che rendano più interessante il pasto, regalandogli intriganti sensazioni corporee. Tuttavia, mettere nel piatto un'abbondante dose di peperoncino quando fa molto caldo può comportare alcuni effetti collaterali poco piacevoli, non solo per chi lo ha consumato ma anche per chi gli sta vicino, come vedremo.

Un incendio immaginario

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Come è noto, il principio attivo del peperoncino, nonché causa della piccantezza, è la capsaicina. Sostanza molto interessante anche dal punto di vista nutrizionale perché stimolante del metabolismo, con proprietà antinfiammatorie, analgesiche e utili per chi fa sport (anche se per questi effetti più spinti non è sufficiente un normale utilizzo in cucina ma va preso un integratore).

Ma torniamo al rapporto tra caldo e dieta piccante. Anche se ognuno di noi ha una soglia di sensibilità diversa, le prime sensazioni che arrivano quando mangiamo del peperoncino partono dalla bocca e dalla gola, si sente un leggero bruciore, una sorta di formicolio che però, per restare piacevole, non deve diventare così forte da levare il fiato. E in questo caso gli esperti suggeriscono di assumere un cibo o una bevanda ricchi di grassi come latte inteo, panna, un tocchetto di pane immerso nell’olio. Essendo la capsaicina liposolubile, ossia che si lega ai lipidi, gli alimenti grassi riescono a “intercettarla” sottraendola alla lingua. Al contrario, bere acqua o mangiare pane da solo risulta decisamente meno efficace.

Ma perché il peperoncino causa questo senso di bruciore? Perché la capsaicina va a stimolare anche quei neurotrasmettitori presenti nel cavo orale che vengono attivati dal calore. E che, quindi, mandano al cervello un segnale “quasi” doloroso che ci si trova in una situazione a rischio per la propria incolumità, come se si fosse sotto il sole di agosto a mezzogiorno o vicino a un fuoco (e infatti ci si accalda e le guance si arrossano).

E qual è la reazione dell’organismo quando si deve difendere dal troppo caldo ed evitare che la temperatura corporea salga? Aumentare la sudorazione per rinfrescarsi. Ma se questo effetto “traspirante” in inverno viene decisamente mitigato grazie al freddo (anzi, mangiare piccante dona anche il piacevole effetto collaterale di mandare un’ondata di calore al corpo) in estate con 40 gradi all’ombra l’aumento della sudorazione pare quasi inevitabile.

Va detto che ogni sostanza piccante, a seconda dei recettori che stimola di più, provoca degli effetti diversi: ad esempio il wasabi, il rafano o il cren vengono sentiti dalla parte alta del palato, salendo verso il naso e persino fino gli occhi ma, invece di fare sudare, aumentano semmai la lacrimazione e fanno colare il naso. Con il rischio, semmai, di sembrare delle persone dal cuore tenero o col raffreddore, ma senza rischiare una traspirazione fuori controllo…

Ma se, detto ciò, si decide comunque di non rinunciare all’ottimo “diavoletto rosso”, per approfittare al meglio della ricchezza nutrizionale e dell’effetto antiossidante si consiglia di usare quello fresco, che si può usare in dosi maggiori rispetto al secco ed è ricco di minerali e vitamine come la C e la A (sotto forma del suo precursore betacarotene).

Un’estate piccante ma non troppo - Ultima modifica: 2023-07-21T14:06:34+02:00 da Barbara Asprea

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