Novità dalla ricerca
Mangiare bene “allunga” la salute

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Un nuovo studio svedese pubblicato su Nature Aging ha valutato l’impatto sulla salute di diversi modelli alimentari dopo i 60 anni, confermando che ciò che si porta in tavola può rallentare o accelerare la comparsa delle malattie tipiche dell’invecchiamento

Un’alimentazione ricca di alimenti vegetali da una parte, e con una bassa presenza di alimenti considerati infiammatori dall’altra, ha trovato un’ulteriore conferma della sua efficacia protettiva sulla salute. E non solo per sentirsi meglio nell’immediato ma anche per migliorare lo stato di benessere con il passare degli anni, quando diventa più frequente andare incontro alla cosiddetta multimorbidità, il termine usato quando una sola persona presenta più patologie croniche insieme. Almeno così si afferma in una recente ricerca dello svedese Karolinska Institutet, pubblicata su Nature Aging, che ha investigato le abitudini alimentari delle persone dopo i 60 anni e la loro progressione verso le malattie croniche.

15 anni di dati

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Per questo lavoro, i ricercatori universitari si sono basati sulle informazioni già raccolte nello studio di popolazione SNAC-K (Swedish National Study on Aging and Care in Kungsholmen), iniziato nel 2001 a Stoccolma. Le persone oggetto della ricerca sono state quasi 2500, tutte con più di 60 anni (età media di 71,5 anni) e in maggioranza donne (61%). Già all’inizio della ricerca oltre l’80% dei partecipanti conviveva con almeno due malattie croniche. Nel corso dei 15 anni di follow-up, sono state raccolte informazioni attraverso questionari alimentari, visite cliniche e dati delle cartelle cliniche. Tutto ciò ha permesso di valutare non solo la presenza di una o più malattie, ma anche la velocità con la quale queste si manifestavano e aumentavano di numero. In particolare, gli studiosi hanno raggruppato le patologie in tre categorie: cardiovascolari, neuropsichiatriche e muscolo-scheletriche.

Stili alimentari a confronto

Passando all’analisi della dieta, i ricercatori hanno raggruppato le diverse abitudine alimentari dei partecipanti in 4 gruppi. Due dei quali sono simili a dieta conosciute, mentre gli altri due sono indici ricavati dagli alimenti consumati più frequentemente. Questi le 4 categorie.

La dieta MIND. Pensata per la salute del cervello (qui, qualche info base) combina elementi della Mediterranea e della dieta DASH (una dieta americana pensata per contrastare la pressione alta). Verdure a foglia verde, frutti di bosco, cereali integrali, legumi, frutta a guscio e olio d’oliva sono al centro, con un consumo regolare di pesce e un forte limite a carni processate e dolci.

La AMED (Alternative Mediterranean Diet). Si tratta di una versione adattata della dieta mediterranea per contesti non mediterranei. Mantiene i principi cardine – ampia quota vegetale, pesce, grassi insaturi – ma è stata strutturata per essere applicabile anche al di fuori dal bacino mediterraneo.

L’indice AHEI (Alternative Healthy Eating Index). È un indice che valuta la qualità complessiva dell’alimentazione: premia chi consuma più alimenti vegetali e cereali integrali e penalizza chi eccede con bevande zuccherate, carni trasformate e sale.

L’EDII (Empirical Dietary Inflammatory Index). Non è un modello dietetico da seguire, ma un indice che misura il potere infiammatorio della dieta. Più è alto, più la dieta è ricca di alimenti associati a infiammazione (carni rosse e lavorate, cereali raffinati, bevande zuccherate) e povera di alimenti vegetali, tè e caffè.

Quali i risultati principali?

L’analisi ha mostrato che chi seguiva con costanza i modelli MIND, AHEI e AMED sviluppava nuove malattie croniche più lentamente rispetto agli altri. Al contrario, un punteggio alto nell’EDII, ossia la dieta ricca di alimenti proinfiammatori (se ne parla in questo post) era collegato a una progressione più rapida. Dopo 15 anni, la differenza tra chi aderiva maggiormente a una dieta sana e chi invece seguiva un regime più infiammatorio, corrispondeva a circa due malattie croniche in meno.

Le associazioni con la qualità della dieta erano particolarmente evidenti per le malattie cardiovascolari e quelle neuropsichiatriche, mentre non sono emersi legami significativi con il gruppo delle patologie muscoloscheletriche. Va ricordato che studi come questi sono di tipo osservazionale, ossia non dimostrano un rapporto diretto di causa-effetto. Tuttavia è l’ennesimo studio (e in questo blog se ne parla regolarmente, come in questo post dedicato alle proteine vegetali) che mostra quanto la qualità complessiva della dieta conti davvero. Puntare su verdure, frutta, legumi, cereali integrali, frutta a guscio, olio d’oliva e pesce (se non si è vegetariani), e ridurre il consumo di cibi ricchi di grassi saturi e zuccheri, non è solo un consiglio generico. Ma può diventare una strategia che può incidere concretamente sul modo in cui si invecchia. Perché, non conta solo aggiungere anni alla vita, ma forse è ancora più importante aggiungere vita agli anni.

Mangiare bene “allunga” la salute - Ultima modifica: 2025-09-17T08:00:54+02:00 da Barbara Asprea

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