Ho appena terminato di scrivere un libro sulla cottura a vapore, un secondo capitolo più impegnativo e faticoso dopo una prima versione uscita alcuni anni fa e giunta già alla seconda edizione con un ottimo riscontro generale.
Così ho passato molto tempo con il vapore, mi ha fatto compagnia per lunghe sessioni e mi ha raccontato moltissime storie, per lo meno questo è quello che ho ascoltato.
Come sia possibile che una tecnica di cottura abbia in se un anima e uno spirito così forte da poter raccontare infinità di vite attraverso suggestioni di paesaggi, stati d’animo, fato e coincidenze che coincidenze non sono, questo ancora non ve lo so dire.
Però ho ascoltato e di questo ne sono certo, ho raccolto queste storie e in me loro stanno crescendo, proiettano nei miei sensi strade che ancora non conoscevo e soprattutto mi fanno vedere al di la e oltre.
Oltre il fumo del vapore appunto e oltre le apparenze di ciò che crediamo e diamo per scontato o peggio per assoluto.
È evidente, almeno per me è evidente, che il cibo è molto di più che nutrimento e che il mezzo di trasformazione, le cotture e le non cotture, sono luoghi e racconti da cui raccogliere saggezza e grandi insegnamenti.
Lo spartiacque rimane la tecnica.
È fondamentale conoscerla e seguirla nei suo dettami di fondo e senza di essa non abbiamo strumenti, metaforicamente potemmo dire che non abbiamo armi con cui combattere e affrontare il nemico.
Ma quando diventa l’unica cosa che conta bruciamo in noi la capacità di ascoltare l’imperfezione.
Ciò è essenziale, il vapore ad esempio racconta molte imperfezioni e guardandole con l’ascolto possiamo portare il cibo a noi lasciandogli il massimo della sua energia.
Arrivo quindi a intravedere come la buona cucina sia imperfezione?
Può darsi, vi saprò dire.