In questi giorni ha fatto un certo effetto uno studio spagnolo, da poco pubblicato nel Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, che ha confermato la carenza di vitamina D nei malati ospedalizzati per Covid-19.
Durante la prima ondata dell’epidemia, i ricercatori hanno scoperto che l'80% dei 216 pazienti ricoverati per Covid-19 presso l'Hospital Universitario Marqués de Valdecilla, avevano una carenza di vitamina D. Deficit più marcati negli uomini rispetto che nelle donne. Inoltre i pazienti che presentavano livelli di vitamina D più bassi mostravano anche livelli aumentati di alcuni marcatori infiammatori nel sangue. Nelle conclusioni della ricerca, gli studiosi consigliano non un’integrazione generalizzata ma di identificare e trattare la carenza di vitamina D specialmente negli individui ad alto rischio come gli anziani o le persone con comorbidità.
Se quindi un’integrazione non è consigliabile nella popolazione generale – tra l’altro assumere integrazioni vitaminiche in mancanza di prescrizione medica è sconsigliato e può essere anche rischioso - ciò non significa che bisogna trascurare l’apporto di questa vitamina. Specie di questi tempi…
Se il sole non basta: dove la troviamo
La vitamina D è fondamentale per l’assorbimento del calcio (e non solo) ma viene “fabbricata” dalla nostra pelle solo se stimolata dai raggi solari grazie alla presenza della cosiddetta provitamina D. Si è accertato che un’esposizione solare di almeno 15-20 minuti al giorno sarebbero sufficienti per non rischiare deficit. Interessante sottolineare che quella prodotta grazie al sole corrisponde all’80-90% dell’approvvigionamento di vitamina D e solo il restante 10-20% arriva dall’alimentazione. E per avere un’idea delle quantità, secondo l’EFSA, negli individui sani di oltre un anno di età un apporto adeguato è d di 15 µg al giorno. Apporto che però varia a seconda dell’età: gli anziani, ad esempio, sintetizzano la vitamina meno efficacemente. Ma in generale si può dire che i fabbisogni fisiologici cambiano a seconda degli individui, del loro stile di vita, di dove vivono e della capacità della loro pelle di sintetizzare la vitamina.
A tavola questa vitamina è presente in due forme: ergocalciferolo (vitamina D2) negli alimenti di origine vegetale, e colecalciferolo (vitamina D3) in quelli di origine animale. Tuttavia in linea generale il tenore di vitamina D negli alimenti non è alto: per questo è importante esporsi alla luce solare. Di seguito le migliori fonti: va detto che i pesci grassi ne forniscono le quantità maggiori.
- Pesci grassi. Ecco qualche esempio: anguilla, aringa, salmone selvatico, salmone allevato, sarde, tonno, sgombro, olio di fegato di merluzzo.
- Uova (tuorlo in particolare).
- Formaggi e latte.
- Funghi commestibili.
- Cacao e cioccolato fondente.