Diete e dintorni
Novità su dimagrimento e digiuno intermittente

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Preferite il digiuno intermittente alla dieta tradizionale? Una nuova maxi-analisi americana ha messo a confronto queste strategie e scoperto che, pur avendo effetti simili sul peso, un tipo di digiuno si è rivelato leggermente più efficace

Di digiuno intermittente ci occupiamo spesso, perché il tema interessa chi cerca di perdere peso senza dover seguire le classiche diete ipocaloriche (e in questo post parliamo proprio di un lavoro che ha messo a confronto queste diverse metodiche). Attorno a questo approccio ruotano aspettative molto alte, alimentate dall’idea che basti saltare qualche pasto per ottenere non solo chili in meno, ma anche benefici metabolici importanti. Ora però una nuova ricerca firmata dalle Università di Harvard e Toronto riporta la discussione su basi più concrete, chiarendo che il digiuno intermittente non rappresenta una scorciatoia miracolosa, sebbene possa avere qualche vantaggio in specifici contesti.

Va sottolineato che si tratta di una review sistematica e meta-analisi, cioè di uno studio che analizza in modo rigoroso tutti i lavori scientifici pubblicati su un certo argomento, combinandone i risultati con metodi statistici. Questo tipo di ricerca è considerato molto affidabile perché permette di capire se gli effetti osservati nei singoli studi siano confermati nel complesso delle evidenze disponibili. Nel caso di questa pubblicazione, gli autori hanno selezionato 130 studi randomizzati controllati, di cui ben 99 dedicati al digiuno intermittente, per valutare l’efficacia e la sicurezza di questa strategia rispetto sia a una dieta ipocalorica seguita costantemente (Continuous Energy Restriction, CER) sia a un’alimentazione senza restrizioni. È quindi un lavoro solido e autorevole, che ci aiuta a fare chiarezza.

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Tante forme, stesso obiettivo

L’attrazione nei confronti del digiuno intermittente è alimentata anche dai diversi approcci che possono essere più consoni al proprio stile di vita. Il più conosciuto è il metodo 16:8, dove si digiuna per 16 ore e si consumano i pasti in una finestra di 8 ore. Altri modelli prevedono il digiuno per 24 ore oppure una o due volte a settimana (digiuno a giorni alterni o whole day fasting) o il dimezzamento delle calorie in alcuni giorni della settimana. Insomma, le possibilità sono tante, con un unico denominatore: ridurre le ore in cui si mangia o le calorie introdotte, puntando su periodi più o meno lunghi di pausa metabolica durante i quali ci si idrata soltanto o si consumano pochissime calorie.

Nel nuovo lavoro in questione, appena pubblicato sul British Medical Journal, le diverse strategie di digiuno intermittente sono state suddivise in tre gruppi principali: il Time Restricted Eating (TRE), come il metodo 16:8; l’Alternate Day Fasting (ADF), che alterna giorni di digiuno a giorni di alimentazione libera; e il Whole Day Fasting (WDF), che prevede giornate intere di digiuno durante la settimana, come nella dieta 5:2.

I risultati principali

Secondo l’analisi dei vari studi scientifici, il digiuno intermittente funziona per la perdita di peso, ma in misura simile a una dieta ipocalorica tradizionale. Non c’è niente di misterioso: mangiando meno calorie di quelle che consumiamo, si perde peso. E, come sempre, la durata del risultato dipende da quanto si riesce a mantenere le abitudini alimentari nel tempo. Va detto che tutte le forme di digiuno intermittente portano a una perdita di peso maggiore rispetto a un’alimentazione senza restrizioni. Tuttavia, rispetto a una dieta ipocalorica seguita costantemente (CER), solo l’Alternate Day Fasting (ADF) ha mostrato una riduzione di peso leggermente superiore, pari a circa 1,29 kg in più. La differenza resta comunque modesta, e negli studi oltre 24 settimane queste differenze tendono a ridursi o a sparire.

Benefici per la salute oltre il peso

Al di là della bilancia, il digiuno intermittente continua ad attirare interesse per i possibili effetti metabolici. L’ipotesi è che le pause alimentari prolungate consentano di ridurre i livelli di insulina, di favorire i processi cellulari di riparazione e di abbassare alcuni marker infiammatori come la proteina C reattiva o il fibrinogeno, oltre a migliorare il profilo lipidico. Anche a questo proposito l’Alternate Day Fasting si è dimostrato più efficace nel ridurre trigliceridi, colesterolo totale e colesterolo non-HDL. Non sono invece emerse differenze rilevanti tra i vari tipi di digiuno per il controllo della glicemia o per il colesterolo HDL. Nel complesso, gli effetti metabolici non appaiono superiori a quelli ottenibili con una dieta ipocalorica tradizionale.

Lo studio ha inoltre segnalato che, negli studi di durata superiore a 24 settimane, i benefici su peso e parametri metabolici tendono a ridursi, anche perché molte persone abbandonano questi regimi nel tempo.

Non va bene per tutti

Va ricordato che il digiuno intermittente non è adatto a bambini, adolescenti, donne in gravidanza o allattamento, né a chi soffre di disturbi del comportamento alimentare. Anche chi ha diabete o altre patologie croniche dovrebbe parlarne col medico, perché prolungare i periodi senza cibo può creare squilibri, soprattutto se si assumono farmaci che abbassano la glicemia.

Nella ricerca pubblicata sono stati riportati effetti collaterali generalmente lievi, come stanchezza, fame, nausea, stitichezza e, più raramente, episodi di ipoglicemia, in particolare nelle persone con diabete. Inoltre, l’aderenza ai regimi di digiuno intermittente tende a calare oltre i sei mesi.

In conclusione, il digiuno intermittente può essere uno strumento utile per chi trova più semplice limitare le ore in cui mangia piuttosto che contare le calorie ogni giorno, e dà risultati simili alla restrizione calorica continua. Tuttavia, tra i vari approcci, quello dei “giorni alterni” ha mostrato più benefici, sebbene contenuti.

Novità su dimagrimento e digiuno intermittente - Ultima modifica: 2025-07-11T08:00:37+02:00 da Barbara Asprea

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