Lo confesso, oggi, mentre affettavo una pagnotta di segale, oltre al piacere di mangiare un pane fatto come si deve - e cioè a pasta acida, lievitazione lenta, farine integrali e biologiche – provavo anche una sorta di rivincita morale. Il mio senso della giustizia gongolava. Tutto ciò perché recentemente mi sono occupata di storia della cucina italiana e stavo pensando che nel medioevo e nel rinascimento italiano il consumo del pane era assai differenziato a seconda dell’appartenenza sociale. Quello bianco di frumento era riservato ai signori e ai mercati delle città mentre ai contadini si destinavano pani scuri derivati da cereali più robusti del delicato frumento, come il farro o la segale. Al pane si affiancavano le polente d’orzo o di miglio, di avena o panìco: tutti cereali considerati dai documenti dell’epoca come minori. Ma la loro inferiorità era data dal pregiudizio e oggi la situazione si è rovesciata. Un pane integrale o di segale, come quello che ho sul mio tavolo oggi, è certamente più salutare, nonché costoso, del pane bianco comune. E' infatti più ricco di minerali, di vitamine del gruppo B e di fibre. Inoltre ha un indice glicemico notevolmente inferiore a quello del pane bianco. Alcuni studi scandinavi hanno dimostrato che grazie alle fibre solubili e insolubili – la cui fermentazione produce sostanze benefiche per la salute intestinale - la segale è svolge un'azione protettiva nei confronti del tumore al colon. Alla faccia dei signorotti di un tempo che lo consideravano un alimento troppo basso per i loro alti palati...