Produrre alimenti a base di cereali facendo a meno del glutine non è facile. In effetti è proprio grazie al glutine che nell'impasto di farina, acqua e, quando serve, il lievito, si forma una sorta di reticolo proteico. Nel caso del pane, questo sarà in grado di intrappolare i gas che fanno aumentare il volume dell’impasto rendendolo soffice; invece nel caso della pasta servirà per mantenere una struttura resistente all'azione delle cottura. Ma oltre a questi aspetti tecnici si aggiungono quelli non trascurabili del gusto e della palatabilità: su questo fronte il frumento è quasi imbattibile. Insomma, sono molte le difficoltà che i produttori di alimenti gluten free hanno dovuto affrontare per per ottenere un buon prodotto. Non c’è da stupirsi, perciò, che nel recente passato i requisiti principali richiesti a un alimento per celiaci siano stati un buon sapore e la sua somiglianza per quanto possibile all’alimento originale "con il frumento". Di conseguenza, gli aspetti nutrizionali sono stati relegati a un piano inferiore. È accaduto spesso che per fare risultare i dietoterapici più gradevoli (e per ovviare a problemi produttivi), questi siano addizionati generosamente di grassi e zuccheri, giocando così un possibile ruolo nell’aumento di peso del celiaco o nella comparsa di colesterolomia o rialzo del glucosio nel sangue. Oggi, però, grazie a una maggiore conoscenza tecnologica e una generale sensibilità sulle questione nutrizionale, le cose stanno finalmente cambiando.
Gli aspetti da valutare
Fondamentalmente, i punti deboli “storici” degli alimenti senza glutine sono la mancanza di fibra alimentare e una quota elevata sia di grassi che di zuccheri. Il primo punto è dovuto alla sostituzione delle farine di cereali integrali con amidi o farine molto raffinate come quella di riso. Uno scambio che comporta non solo una depauperazione pressoché totale di fibra ma anche una buona perdita di sostanze nutritive quali vitamine e minerali. In più, è noto che la mancanza di fibre contribuisca notevolmente a influenzare la risposta glicemica, aumentando l’impatto sui livelli di glucosio nel sangue dopo un pasto. Senza trasformarci tutti in esperti, quali sono i consigli principali per valutare la qualità nutrizionale di un dietoterapico per celiaci?
Innanzitutto, per avere una prima idea non è necessario leggere tutto l’elenco degli ingredienti ma può essere sufficiente notare il loro ordine di comparsa. Come sappiamo, gli ingredienti vengono sistemati in modo decrescente a seconda della loro presenza nell'alimento. Ad esempio, mentre si sceglie una pasta o un pane, ai primi posti sarebbe meglio trovare le farine e non più gli amidi dei cereali perché questi fanno parte di ricette obsolete nelle quali venivano utilizzati per dare consistenza agli impasti o per far sì che la pasta potesse essere trafilata. Stesso discorso per i numerosi prodotti da forno senza glutine. Se in una merendina o un biscotto al primo posto troviamo lo zucchero, oppure i mono e digliceridi degli acidi grassi (grassi simili ai trigliceridi utilizzati per la loro azione stabilizzante ed emulsionante), meglio preferirne un tipo che contenga le farine al primo posto, e percentuali inferiori di grassi e zuccheri. Tuttavia, va detto che nel settore dolciario questi prodotti non sono ancora moltissimi.
Anche la varietà conta
Un ulteriore passo avanti nella valutazione del valore nutrizionale riguarda le qualità dei vari tipi di ingredienti. Parlando di cereali, ad esempio, se mais e riso sono quelli più utilizzati dall’industria alimentare, da qualche anno si sono affacciati cereali minori e pseudocereali con interessantissime proprietà nutrizionali. È il caso di miglio, grano saraceno, quinoa, sorgo, teff, amaranto, per fare qualche nome. Senza entrare nel dettaglio sulla composizione nutrizionale di questi vegetali, la presenza delle loro farine tra gli ingredienti è certamente un fatto positivo, e anche la presenza di fibre naturali aumenta. Le nuove formulazioni di paste prodotte con miscele di farine (e non più con gli amidi) non hanno più bisogno di essere integrate con fibre di sintesi, come accadeva in passato. A questo proposito, una buona notizia: attualmente al posto di quelle di sintesi si cominciano a utilizzare fibre estratte da fonti vegetali come i legumi o gli ortaggi, ad esempio barbabietola o cicoria.
Passando ai grassi, altro noto punto debole del gluten free, in etichetta va specificato il tipo utilizzato. E come accade nel prodotto convenzionale sarà meglio scegliere oli migliori dal punto di vista nutrizionale preferendo ai grassi trans o idrogenati - ossia i grassi più di tutti colpevoli di fare alzare il colesterolo - gli oli vegetali di buona qualità provenienti da oliva o girasole, per citare i più conosciuti. Agli ultimi posti dell’elenco degli ingredienti si trovano gli additivi, che dovrebbero sempre essere ben riconoscibili. In etichetta si specifica la categoria di additivo, ad esempio coloranti, quindi si scrive il loro nome per esteso che può essere affiancato da una sigla, ossia l’identificativo di categoria. È importante ricordare che non può essere citato solamente l’identificativo e chi lo fa non rispetta il consumatore che non dovrebbe trasformarsi in esperto per capire cosa contiene un alimento.
E l'etichetta nutrizionale?
Quella "classica" è composta da sette elementi, ovvero, calorie, proteine, carboidrati di cui zuccheri, grassi di cui saturi, sale. In generale si può dire che un’etichetta nutrizionale con più voci indica una maggiore trasparenza da parte del produttore, che in questo modo comunica attenzione nei confronti del consumatore, e in un certo senso, una maggiore attenzione per la sua salute. Probabilmente il valore più controllato dell’etichetta nutrizionale dal consumatore è il primo, ossia l’apporto energetico: ma conviene leggere anche il resto di questa etichetta, mettendosi in grado di potere scegliere un prodotto nel quale i grassi saturi e gli zuccheri siano pochi. Un'ultima parola sul sale, che negli alimenti senza glutine viene usato anche come agente lievitante. Siccome nelle etichette nutrizionali non si può più scrivere sodio ma solo sale, ecco un consiglio facile per capire se il prodotto è troppo salato: basta dividere il valore del sale per 2,5 trovando così l’effettiva quantità di sodio presente. Se il valore è intorno ai 0,4 g su 100 g è meglio non scegliere il prodotto se si è ipertesi (o bambini), un valore intermedio di 0,2 è accettabile mentre da 0,1 in giù nessun problema!