Quale cibo?
A proposito di vitamina D, selenio, Covid-19 e fake news: vi va un po’ di chiarezza?

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Non è facile orientarsi in questo periodo nel diluvio di notizie che riguardano il rapporto tra alimentazione e coronavirus. Prendiamo spunto da un paio di nuovissimi studi per parlarne in modo semplice e per tracciare una linea sensata di comportamento a tavola. A partire da qualche consiglio per migliorare l’assorbimento di vitamina D, ad esempio

All’inizio è stata la vitamina C, poi è diventata la D. Sto accennando solo a un paio delle varie bufale mediatiche che si sono diffuse sulle sostanze nutritive o sui rimedi più diversi in grado di renderci immuni dal Covid-19. Un elenco talmente lungo che il Ministero della Salute ha sentito l’esigenza di pubblicarlo sul suo sito, per analizzarne una per una. Come vedrete se cliccate su questo link, la n.16 parla della vitamina C; la 17 smentisce che mangiare tante proteine potenzi il sistema immunitario e la n. 40 che la vitamina D eviti l’infezione virale. Ve ne consiglio la lettura integrale, in ogni caso istruttiva.

Nutrienti diversi, risultati simili

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Ma, fake news a parte, l’importanza di avere un buono stato nutrizionale continua a ricevere conferme dalla ricerca scientifica. Come è il caso di questo lavoro della Northwestern University, che avrebbe riscontrato una minore gravità, e conseguente mortalità, del Covid-19 nelle persone che non avevano carenze di vitamina D (quindi con livelli normali di questa vitamina). In altre parole, si sarebbe assistita a una riduzione della gravità dei sintomi ma non del contagio. Va comunque detto che i dati sono ancora preliminari e che necessitano di ulteriore conferma.

Un altro recente studio della britannnica Università del Surrey appena pubblicato sul The American Journal of Clinical Nutrition ha messo in risalto che in Cina i malati di Covid-19, che non avevano carenze di selenio, diventavano meno gravi. Va detto che i livelli di selenio in genere dipendono dalla qualità dei terreni di coltivazione e in Cina, a seconda delle zone, possono esserci carenze diffuse di questo minerale, noto per l’azione antiossidante.

Insomma, queste pubblicazioni sono utili per capire che per riuscire a difenderci meglio dalle infezioni, non servono tanto le megadosi di un singolo elemento ma piuttosto una alimentazione variata – basata per quanto possibile su alimenti naturali, integrali e freschi - in grado cioè di apportarci le tante sostanze delle quali abbiamo bisogno.

Tra l’altro (come già ricordato di recente nel mio post sui frullati dove suggerivo alcuni accorgimenti per migliorare la biodisponibilità degli antiossidanti) quando vogliamo trarre il massimo da ciò che mangiano, un po’ di attenzione agli abbinamenti può essere consigliabile. Gli alimenti, in effetti, sono una miscela di sostanze che interagiscono tra di loro. Talvolta potenziandosi ma talvolta neutralizzandosi a vicenda. Per queste ragioni vengono sconsigliati gli integratori con tutti i minerali e le vitamine “insieme appassionatamente”. E visto che si è parlato di vitamina D, le cui carenze non sono così rare, concludo con qualche info pratica che non guasta.

La vitamina D ama il calcio (e viceversa)

Lo sapevate? Il calcio, così importante per le nostre ossa, ma non solo, perché venga assorbito ha bisogno dell'assistenza della vitamina D. Una vitamina che esercita anche molti altri benefici in tutto il corpo - è un regolatore della crescita, dell’irrobustimento e della formazione delle ossa attraverso il controllo dell’as­sorbimento del calcio e del fosforo nell’intestino tenue, ha effetti immunomodulanti e sull'apparato cardiovascolare - ma che viene “fabbricata” dalla nostra pelle se stimolata dai raggi solari. Il suo fabbisogno varia a seconda dell’età: i bambini e gli anziani sintetizzano la vitamina meno efficacemente. In generale si può dire che i fabbisogni fisiologici cambiano a seconda degli individui, del loro stile di vita e della capacità della loro pelle di sintetizzare la vitamina. Va anche detto che negli adulti, l’abuso di alcol diminuisce le riserve di vitamina D nel fegato. Una cosa da tenere presente è che questa agisce sinergicamente con il calcio: inutile bere un litro di olio di fegato di merluzzo (un tempo l’integratore più diffuso per questa vitamina) se poi non si ingerisce neanche un grammo di calcio e si va avanti a panini e bistecca. Al contrario, un piatto di sardine o sgombri (vedi tabella sotto) con una bella insalata di “calciosa” rucola, condita con succo di limone (vitamina C) è un’associazione perfetta e, decisamente, mediterranea.

E se il sole non bastasse…

Ecco il contenuto di vitamina D (valori espressi in Unità Internazionali) di alcuni ali­menti: i pesci dei mari del Nord (e il loro fegato) ne sono le fonti più ricche.
Anguilla 5.000 UI
Burro 40 UI
Fegato 50 UI
Formaggio Emmental 100 UI
Funghi 150-300 UI
Latte 0,5-4 UI
Olio di fegato di merluzzo 8.500 UI
Salmone 650 UI
Sardine 300 UI
Sgombri 50 UI
Uova 200 UI

 

Sei cose da conoscere sulla produzione di vitamina D

Ecco i suggerimenti che ci arrivano dagli esperti della Harvard Medical School sui fattori che influenzano la produzione di vitamina D e che è meglio conoscere per riuscire ad assorbirla al meglio.

  1. Dove si vive. Più lontano dall’Equatore si vive, meno luce e raggi solari UVB rag­giungono la superficie della terra durante l’inverno. Quando le giornate sono molto corte, chi vive al nord dovrebbe cercare di esporre al sole faccia, braccia o gambe per quanto possibile.
  2. Qualità dell’aria. Le particelle di carbonio e gli altri composti inquinanti presenti nell’aria, dovuti per lo più ai combustibili fossili assorbono i raggi UVB, diminuendo così la produzione di vitamina D.
  3. L’uso di creme solari. In teoria, l’effetto protettivo delle creme, evitando le scotta­ture, bloccherebbe anche l’azione dei raggi UVB, perciò i livelli di vitamina D. Ma, in pratica, è difficile che le persone siano sempre totalmente protette dai raggi solari, quindi la protezione solare, in effetti, potrebbe non essere così importante sulla vitamina D. Un noto studio australiano non ha mostrato differenze di vitamina D tra un gruppo di adulti che usava la crema solare a un altro gruppo di controllo che utilizzava un placebo.
  4. Colore della pelle. La melanina è la sostanza che rende scura la pelle e “compe­te” con i raggi UVB con la sostanza che dà il via al corpo alla produzione di vitamina D. Di conseguenza, le persone di pelle scura hanno bisogno di un’esposizione mag­giore ai raggi UVB rispetto a quelle di pelle chiara per generare la stessa quantità di vitamina D.
  5. Peso. Il grasso corporeo “assorbe” la vitamina D, per cui si è pensato che potreb­be fornire una sorta di deposito di vitamina D utile nelle giornate grigie, una fonte di vitamina quando l’assunzione è bassa o la produzione è ridotta. Altri studi, però, hanno dimostrato che l’obesità è correlata con bassi livelli di vitamina D e che il sovrappeso può influenzare la biodisponibilità di questa vitamina.
  6. Età. Rispetto ai più giovani, gli anziani hanno livelli più bassi della sostanza nella pelle che i raggi UVB trasformano nel precursore della vitamina D. Ci sono anche evidenze sperimentali che gli anziani, rispetto ai giovani, hanno un sistema di produ­zione di questa vitamina meno efficiente.
A proposito di vitamina D, selenio, Covid-19 e fake news: vi va un po’ di chiarezza? - Ultima modifica: 2020-05-11T18:54:52+02:00 da Barbara Asprea

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