Per controllare il proprio peso non serve saltare il pranzo o la prima colazione, anzi… a parità di calorie ingerite, consuma più energia chi fa un maggior numero di pasti. Vediamo perché
La regola è una: le calorie spese nelle diverse attività quotidiane devono essere superiori a quelle introdotte con gli alimenti. In altre parole, per dimagrire, si deve mangiare meno di quanto si consuma. A proposito di diete dimagranti, generalmente è questo il concetto a cui ci si attiene. Quasi mai si parla dell’importanza di come distribuire le calorie nelle 24 ore: in altre parole, quante volte e quando mangiare durante la giornata. Eppure questo è altrettanto importante. La maggior parte delle persone, per antiche abitudini e ormai, a causa dello stile di vita sempre più frenetico, consuma una colazione molto scarsa o la salta completamente, mangia un panino a pranzo, e introduce a cena fino al 60-70% delle calorie giornaliere, con conseguente digestione faticosa e possibili disturbi del sonno.
Tre pasti e due spuntini
Molto meglio è invece suddividere le calorie in cinque pasti giornalieri in modo da assumerne almeno il 20% al mattino, 30-35% a pranzo e a cena, e 5-10% a metà mattinata e pomeriggio. Perché, da un punto di vista metabolico, conviene assumere queste calorie in maniera frazionata? Innanzitutto, digerire un pasto non eccessivo è più facile, in quanto i vari organi interessati (stomaco, intestino, fegato, pancreas, cuore) devono far fronte a un impegno ridotto; in secondo luogo, l’innalzamento della glicemia non è così elevato e brusco come dopo un pasto molto ricco, soprattutto di carboidrati. Ma c’è un altro motivo non ben conosciuto, che è quello che qui ci interessa. Durante la digestione, l’organismo spende una certa quantità d’energia che dipende, nell’arco della giornata, anche dal numero dei pasti che si fanno (a parità, ovviamente, di alimenti prodotti). Cerchiamo di capire perché, facendo una piccola premessa sul metabolismo energetico. L’organismo umano, come tutti quelli che vivono a temperatura costante, è in uno scambio continuo di energia con l’ambiente e risponde alla prima legge della termodinamica, o “Principio della conservazione dell’energia”, secondo cui l’energia non può essere né creata né distrutta. Il passaggio d’energia dall’ambiente all’uomo, o entrata energetica, avviene grazie ai processi di ossidazione cellulari (combustione) dei nutrienti “calorici” (carboidrati, grassi, proteine, alcol). Il passaggio inverso, dall’uomo all’ambiente, o spesa energetica, può essere suddiviso in tre componenti principali:
1. il metabolismo basale;
2. la termogenesi indotta dall’attività fisica;
3. la termogenesi indotta dalla dieta.
Il metabolismo basale rappresenta l’energia che serve all’organismo per svolgere le sue funzioni di base, soprattutto quelle legate agli organi vitali (cervello, fegato, cuore, milza, reni). Le calorie consumate in queste attività corrispondono al 60-70% della spesa energetica giornaliera. La termogenesi indotta dall’attività fisica (20-30% delle calorie totali in una persona sedentaria) è quanto viene speso per compiere qualunque tipo di attività fisica come lavarsi, vestirsi, cucinare, lavorare.
Termogenesi indotta dalla dieta
La termogenesi indotta dalla dieta rappresenta l’aumento della spesa energetica, rispetto alla condizione basale, in seguito all’assunzione di un pasto; in media, essa corrisponde al 10-15% della spesa totale. Come s’intuisce facilmente, questa componente non è affatto trascurabile nel computo totale delle calorie spese giornalmente: per una persona che consuma 2500 kcal, la termogenesi digestiva corrisponde a 250-375 kcal. Non poca cosa! L’aumento della spesa energetica raggiunge il suo massimo circa un’ora dopo la fine di un pasto normale e ritorna nuovamente ai valori basali dopo 4-5 ore. L’impegno metabolico che l’organismo affronta per digerire gli alimenti è dunque elevato, anche se ce ne accorgiamo solo in parte. La teoria più recente ritiene che la termogenesi indotta dalla dieta sia formata da due componenti: una cosiddetta “obbligatoria” e una “facoltativa”. La prima è in relazione alla spesa energetica che l’organismo deve compiere per digerire, assorbire e trasportare i nutrienti ingeriti e sembra essere costante per i singoli nutrienti. La seconda componente, dovuta alla stimolazione del sistema nervoso simpatico, è detta facoltativa perché relativamente variabile e attivata ogni qualvolta si assume un pasto: questa spesa extra di energia viene indotta dai nutrienti ingeriti ma con meccanismi ancora non del tutto chiari. Un aumento della frequenza dei pasti comporta quindi una maggiore attività della termogenesi, soprattutto nella sua componente facoltativa, e quindi una maggiore spesa energetica, a parità di alimenti consumati. Questo non vuol dire assolutamente che piluccare tutto il giorno aiuti a dimagrire perché così si aumenta la frequenza dei pasti! Spiega invece un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti: saltare i pasti non aiuta a dimagrire, anzi, si arriva al pasto successivo con maggiore appetito, si mangia il doppio, ma il consumo energetico per la digestione di quel pasto è molto minore che se i pasti fossero stati due.
Termogenesi e anoressia
La termogenesi indotta dalla dieta, così come il metabolismo di base, si modificano in seguito a variazioni di peso troppo rapide: il caso delle persone affette da anoressia, purtroppo, lo conferma. L’organismo sottoposto a uno stress cronico qual è la riduzione esagerata dell’assunzione di cibo per mesi o anni, tende a differenziarsi cioè a “risparmiare” energia, riducendo sia il metabolismo di base sia la termogenesi alimentare. Questa è, chiaramente, una strategia adattativa che permette all’organismo di ridurre i consumi calorici “al minimo” vitale, un po’ come succede agli animali che vanno in ibernazione.
Termogenesi e obesità
Negli anni settanta e ottanta, si studiò la possibilità che alcuni individui avessero una ridotta termogenesi alimentare e che questo costituisse un fattore predisponente l’obesità. In altre parole, si cercò di studiare un fenomeno che il senso comune di vedere le cose ha già stabilito come una certezza: alcune persone “tendono” a ingrassare perché “accumulano” tutto quello che mangiano e altre no. L’ipotesi di partenza era che a parità di alimenti consumati, e quindi di calorie introdotte, alcune persone avessero una termogenesi alimentare più bassa che li avrebbe portati, nel corso degli anni, ad accumulare dei chili in più. Purtroppo, anni di sperimentazione hanno portato a risultati contrastanti e il problema non è stato ancora chiarito completamente. Ad ogni buon conto, suddividere gli alimenti ingeriti durante la giornata in maniera più equilibrata è il modo migliore per interagire fisiologicamente con il cibo, in quanto comporta una più fine regolazione dell’omeostasi metabolica dei diversi nutrienti. Tutto ciò aiuta a mantenere, a lungo termine, il peso corporeo nei limiti corretti.
Un menu giornaliero tipo
Prima colazione
1 frutto di stagione intero o spremuto
1 tazza di latte o 1 yogurt
4 o 5 cucchiai di fiocchi di cereali oppure 2 fette di pane integrale con marmellata o miele, oppure prodotti da forno (fette biscottate o biscotti con pochi grassi)
1 tazza di caffè, o tè, o caffè d’orzo con 1 cucchiaino di zucchero a piacere
Spuntino di metà mattina
Un frutto di stagione
Pranzo
1 primo piatto (pasta, risotto, polenta o altri cereali, conditi con verdura, olio, formaggio)
1 insalata mista cruda o cotta
1 fetta di pane integrale
1 bicchiere di vino a piacere
Frutta
Spuntino di metà pomeriggio
Un frutto di stagione
1 tazza di tè o infuso d’erbe
Cena
Minestra o passato di verdura
1 piatto proteico ( preferibilmente pesce, o carne bianca o uova) con un contorno di verdure crude e/o cotte
Pane
1 bicchiere di vino a piacere
1 frutto di stagione
I vegetariani possono mangiare più spesso i legumi, ma anche prodotti di soia come il tofu o il seitan.
Mille grazie mi è stato molto utile, e interessante.