“Ho sempre fame, potrei mangiare tutto il giorno”, oppure, “quando inizio una vaschetta di gelato la finisco”. Ma anche “mio figlio mangia due forchettate di pasta, poi dice che è pieno”. Frasi dette e sentite mille volte. Dietro i meccanismi che regolano la sazietà e le nostre abitudini alimentari ci sono aspetti metabolici che spesso non conosciamo. Il dottor Giuseppe Cocca, medico igienista, organizza da oltre 30 anni seminari e gruppi per disintossicarsi con il digiuno, il semi-digiuno e altre pratiche di igienismo naturale. E proprio dall’osservazione dei suoi numerosi pazienti ha tratto delle regole di buona e sana alimentazione che soddisfanno i reali bisogni del nostro corpo.
Perché siamo l’unica specie animale che ingrassa così tanto e così facilmente?
In natura non esistono animali grassi. Parlo degli animali che vivono allo stato brado, non quelli domestici o allevati. Noi esseri umani abbiamo due tipi di grasso, uno funge da riserva energetica l’altro da involucro per le tossine. Parliamo del primo, la riserva energetica: una persona alta 1,70 m, normopeso o anche leggermente sottopeso, ha minimo dagli 8 ai 12 kg di grasso fisiologico. Questi 10 kg di grasso servono per avere un’autonomia in natura di una o due settimane. Ribadisco e sottolineo: abbiamo riserve di grassi anche se siamo magri.
Perché aumentiamo questa riserva andando in sovrappeso?
Lo spiego con degli esempi. Quando mettiamo sotto carica il cellulare e la batteria si riempie al 100%, non ricarica più, anche se lo teniamo attaccato. Se facciamo il pieno alla macchina, non possiamo immettere più benzina della sua capacità. Questo perché esiste un meccanismo di blocco. Un meccanismo che gli animali hanno e noi sembriamo non avere. In realtà lo abbiamo. Abbiamo fisiologicamente un blocco che si innesca quando abbiamo mangiato a sufficienza, ma se il corpo non riconosce gli alimenti ingeriti come “cibo”, non si attiva. La sensazione di sazietà, il blocco, sopraggiunge quando mangiamo cibo corretto per noi, altrimenti non arriva e continuiamo a mangiare, aumentando le riserve di grasso.
Quali sono dunque gli alimenti che il nostro corpo riconosce come “cibo”?
Quando mangiamo ricaviamo dal cibo i macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi) e i micronutrienti (vitamine e minerali) che ci sono necessari. Più il cibo è manipolato, meno contiene micronutrienti: noi abbiamo fame proprio di micronutrienti. Il corpo ci comunica la loro mancanza e ci stimola a mangiare. Affinché si inneschi il blocco dobbiamo mangiare cibi meno processati possibile. Più il cibo è manipolato, più non lo riconosciamo, più il corpo non sarà soddisfatto dell’introito di ciò che gli serve, più invierà il messaggio CONTINUA A MANGIARE! Facciamo l’esempio delle patate: bollite, al forno, fritte, chips. Più si allontanano dal loro stato naturale, meno saranno efficaci per innescare il segnale di stop. Se sgranocchiamo le chips il blocco non si attiva: potenzialmente potremmo continuare a mangiarne per ore. Nel momento in cui introduciamo il cibo non-cibo il corpo non si sente “sfamato”. Ma comunque lo alloggia.
Quindi non è la tipologia di cibo a fare la differenza ma le sue condizioni. Non sono “le patate” ma da dove arrivano, come sono trattate, come vengono portate in tavola.
Esattamente. Che differenza c’è tra il grasso di un pesce pescato e quello allevato in allevamento intensivo? Il pesce allo stato brado avrà meno grasso in corpo ma sarà un grasso pieno di micronutrienti, che mancano invece nell’altro, sostituiti dai farmaci. Anche quando mangiamo alimenti contenenti glutine dobbiamo chiederci da dove arrivano i chicchi e come sono stati coltivati.
Il meccanismo di blocco dunque arriva dopo l’assunzione di una soddisfacente quantità di micronutrienti: a questo punto non dovremmo avere più fame. E se invece il blocco non arriva, nonostante un pranzo preparato con ottimi prodotti ricchi di micronutrienti?
Ci sono altri motivi per cui sentiamo poco la sazietà e continuiamo ad avere fame, cito i tre principali. Il primo è quello spiegato sopra, cioè il blocco non si attiva perché abbiamo fame di micronutrienti. La seconda motivazione ha radici in campo emotivo: abbiamo avuto una delusione d’amore o un’arrabbiatura e compensiamo con il cibo il disequilibrio che il corpo sta vivendo. Terzo, potremmo avere fame per eccesso di zuccheri che hanno provocato uno sbalzo glicemico. Dopo qualche ora dal consumo di un pasto ad alto indice glicemico (pasta, pane, pizza) si verificherà un rapido calo dei livelli di glucosio nel sangue: a questo punto arriveranno forti segnali di fame. Il corpo interpreta sempre questo calo come il chiaro segnale che è tempo di mangiare di nuovo per ristabilire il livello energetico ottimale.
Ogni persona ha le proprie consuetudini alimentari, c’è chi non rinuncerebbe mai a pasta e prodotti da forno, e ne trae un giusto piacere, soprattutto se fatti in casa e con prodotti naturali.
In questo caso basta predisporre correttamente le portate. Se siamo invitati a casa di amici e ci hanno preparato un ottimo menu con piatti come gli gnocchi alla sorrentina e le melanzane alla parmigiana, non c’è problema, ma prima è meglio mangiare una macedonia seguita da un’insalata cruda. Quando arriveranno i piatti cucinati, non li mangeremo per voracità ma per il piacere di mangiarli. E ci sazieremo molto prima, non perché ci siamo nutriti e riempiti la pancia di altro in precedenza ma perché abbiamo già introdotto tutti i micronutrienti che ci servono.
È il microbiota che definisce le nostre abitudini alimentari?
Il microbiota si adatta al nostro modello alimentare. Cioè, generalizzando, i microrganismi presenti nell’intestino sono di tipologia diversa. A seconda dello stile alimentare che seguiamo alcune tipologie aumentano, altre diminuiscono, altre si ritirano o al contrario eccedono. Io ho quasi smesso di mangiare i derivati da forno come focacce, pizze, pane, dolci e ho quindi azzerato il mio, chiamiamolo così, “microbiota da forno”, diminuendo i batteri che si nutrono di questi alimenti. I miei pazienti che finiscono il percorso di digiuno ricominciano progressivamente a mangiare: i primi cibi, attentamente selezionati, creano il loro microbiota di base che, una volta assestato, li induce a mangiare il suddetto cibo scelto, a loro particolarmente utile. Se mangiassero dopo qualche giorno la pasta ne diventerebbero dipendenti. E aggiungo un’altra riflessione. Il “microbiota” delle uova o delle mele, ad esempio, non mi rende dipendente da questi alimenti. Nessuno è dipendente dalla fiorentina o dal salmone, al limite possiamo dire che “ci piacciono”. Nell’osservazione decennale dei miei pazienti ho rilevato che la dipendenza si innesca solo con i farinacei, con i formaggi e con il cioccolato, e in quest’ultimo caso è parzialmente psicologica. Per essere precisi, nel caso dei farinacei si innesca solo con quelli raffinati: infatti di pane bianco possiamo mangiarne a chili mentre non riusciremmo mai a finire una pagnotta di segale integrale. Il pane di una volta stancava, non potevi mangiarne più di tanto. Riassumendo, ogni volta che noi assumiamo cibo creiamo il microbiota che metabolizza quel cibo, e una volta creato, ci indurrà a desiderare quell’alimento. Il modello alimentare quindi si può, lentamente, modificare.
Torniamo al concetto del blocco alla fame. Tanti detti in molte parti del mondo suggeriscono di alzarsi da tavola con un po’ di fame. Questo significa che la sensazione di sazietà arriva sempre più tardi del dovuto. Cosa ci impedisce di sentire il blocco nel momento giusto, prima che sia troppo tardi?
Vi racconto un aneddoto. Mia figlia stava mangiando un buon piatto di pasta e patate, dopo poco più della metà si ferma e dice che non ne vuole più. Le chiedo quindi come ha fatto a capirlo e lei semplicemente risponde che non sente più fame. Allora io insisto: “Come hai fatto a capire che non avevi più fame?”. La sua risposta è stata questa: “ho sentito nella pancia un piccolo gonfiore, un TAC, come se si fosse allentata un po’ la muscolatura. Quando lo sento, significa che sono sazia”. Ecco: anche noi sentiamo il tac ma ci fermiamo all’ottavo tac, non al primo. Perché? Torniamo indietro, a quando eravamo bambini. Il bambino a un certo punto dice “basta non ne voglio più!”. Ma il genitore insiste e impone di finire il piatto. A questo punto il bambino è costretto a mangiare e a dimenticarsi il tac per ingerire la porzione. Non lo sente più, e se lo sente “viene punito”. Mia figlia non è mai stata redarguita per questo e non associa il tac alla punizione. In natura quando c’è il primo tac tutti gli animali si fermano. Attenzione però: il tac è legato al cibo cucinato o condito. Se mangiamo il cibo crudo lo stop lo sentiamo direttamente in bocca. Provate a mangiare ad esempio il pomodoro crudo, all’inizio è buono poi a un certo punto allappa. Se aggiungete olio, sale, origano… potete continuare a mangiarlo.
Quindi è possibile cha anche nutrendoci con cibi buoni, ricchi di micronutrienti, potremmo non sentire subito questi “tac” di sazietà, e continuare così a mangiare oltre la soglia di ciò che ci serve, ingerendo grandi volumi di cibo. Se riempiamo troppo la pancia (seppur di cose buone) non causiamo problemi al nostro apparato digerente?
Il volume conta e crea problemi solo se parliamo di riso, pasta o piatti cucinati. Se invece parliamo di insalate, verdure crude, fresche, il gonfiore o i problemi di volume dipendono solo dalle abitudini del microbiota. Se il nostro microbiota è in grado di digerire le fibre, lo fa e lo fa anche su volumi importanti. È solo questione d’abitudine: se non siamo abituati a mangiare i legumi non ne sopporteremo un cucchiaio, se invece alleniamo il microbiota a un consumo continuo, avremo sicuramente meno problemi. Una facile indicazione che fornisco ai miei pazienti è quella di pensare a un piatto con verdura cruda, verdura cotta e poi una pietanza cucinata. In questo piatto la pietanza cucinata non deve occupare più di un terzo: se vogliamo aumentare questo spazio, dovranno aumentare anche le verdure in proporzione. Aumentando le verdure, che vanno consumate in precedenza, la sazietà giungerà prima perché vengono soddisfatti i criteri di assunzione dei micronutrienti. Attenzione però a cambiare modello alimentare da un momento all’altro. Per gestire bene volumi grandi di verdure crude bisogna avere il microbiota adatto. E questo si plasma lentamente: cambiando il modello alimentare il microbiota si riadatta sempre.
Ci sono però persone che non digeriscono certi tipi di alimenti. Faccio un esempio, chi non digerisce il peperone può riabituarsi a farlo?
A quello crudo sì, a quello cotto non è detto. C’è infatti un aspetto definito ancoraggio: una volta che il corpo è abituato a reagire in un certo modo a un cibo, continua a reagire in quel modo. Una specie di automatismo. Possiamo addestrare il microbiota ma è difficile cambiare questi automatismi consolidati, radicati su convinzioni inconsce. La mente è, su questi aspetti, decisiva. Faccio un esempio. Invito persone a cena e comunico a tutti che quello che è in tavola è stato preparato con prodotti del mio orto (ed è vero). Dopo aver mangiato un bel banchetto, dico loro che ho mentito e che tutto quello che hanno mangiato è cresciuto in una discarica tossica e radioattiva. Le loro reazioni a questo punto risponderanno a ciò che hanno mangiato o a quello che stanno pensando? Quello che pensiamo non “termina” il cibo, ma lo influenza. Se assumiamo un integratore naturale e siamo allineati psicologicamente a questo parafarmaco, ci fa stare meglio. Se lo assumiamo e pensiamo che non serva a niente, diminuisce l’effetto. Conosciamo tutti l’effetto placebo e nocebo, sono due concetti reali e scientifici.
Stando sul piatto diviso in tre parti, dove mettiamo la frutta?
Per gestire la frutta, il nostro corpo deve avere un apparato digerente che funzioni. Se una persona mangia molti farinacei non riesce a gestire bene la frutta. Questa, infatti, non contiene zuccheri complessi ma solo semplici, quindi passa nello stomaco senza essere elaborata e va dritta nel duodeno, la prima parte dell’intestino tenue: se trova un intoppo, fermenta. Deve trovare il passaggio libero, quindi chi ha problemi con la frutta deve assumerla a stomaco vuoto e a inizio pasto, da sola. Non mangiarla mai, almeno inizialmente, dopo aver introdotto piatti cucinati. Va bene anche mezz’ora prima del pasto, basta che sia precedente al pasto. Quando il corpo inizia poi a funzionare bene possiamo mangiarla senza problemi. Per quanto riguarda le diverse combinazioni alimentari, dal mio punto di vista frutta con verdura va bene, ma frutta con farinacei crea più problemi. Naturalmente quando l’apparato digerente si sarà rafforzato non si avranno problemi neanche in questo tipo di abbinamenti.
Tutti i cambiamenti vanno condotti con estrema lentezza e prestando molta attenzione ai segnali che il corpo invia. Rispettandoli con fiducia e pazienza.
Cosa sono i micronutrienti?
I micronutrienti sono le vitamine e i minerali contenuti nei cibi di cui il nostro corpo ha bisogno per vivere. Si chiamano micronutrienti perché al contrario dei macronutrienti (proteine, grassi, zuccheri) sono necessari in piccole quantità ma una loro carenza può portare a gravi disturbi e malattie.
La K è una vitamina, ma esiste anche un minerale che si chiama K?
Grazie!