Pesci: che cosa cambia con il bollino bio


Ormai la metà del pesce che consumiamo arriva da allevamenti e non dai mari. Ben vengano, quindi, i pesci allevati con metodi biologici. Ma come vivono questi animali, quanto spazio hanno a disposizione, con che cosa sono nutriti? Lo abbiamo chiesto ai produttori.

Anche l’acquacoltura (cioè allevamento di pesce e altri prodotti ittici, in vasche a terra, nel mare in gabbie, in lagune e stagni costieri) ha un Regolamento dell’Unione europea che stabilisce come i pesci debbano essere allevati per ottenere la certificazione di “prodotto biologico”. Il consumo di pesce nel mondo sta aumentando, anche per le sue tanto decantate proprietà nutrizionali, e la cattura di pesci selvatici non basta più da tempo a soddisfare la domanda, tanto è vero che circa la metà dei prodotti ittici consumati nel mondo provengono da allevamenti. Secondo la Fao l’acquacoltura è l’unica speranza che in futuro la domanda crescente di pesce possa essere completamente soddisfatta.

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I pionieri dell’acquacoltura naturale
Fino all’autunno scorso, in assenza di un Regolamento europeo e di una normativa nazionale, in Italia “l’acquacoltura biologica” - spiega Pino Lembo, ricercatore e coordinatore Biolfish, la manifestazione che da alcuni anni si svolge a Bari - “era una realtà molto piccola, una decina di aziende che operavano sia con i pesci d’acqua dolce (trote) sia d’acqua salata (spigole e orate) e un’attività di trasformazione sia di prodotto nazionale sia importato (soprattutto salmone)”. In questa situazione, il consumatore bio non aveva scelta: a parte il pesce selvatico, poteva consumare solo quello da allevamento convenzionale. A meno che non riuscisse a trovare i prodotti di una di quella decina di aziende che non hanno aspettato l’istituzione del Regolamento per avviare l’attività di acquacoltura bio. Come Friul Trota, che opera dal 1970 e a un certo punto ha convertito al biologico una parte dei suoi impianti. “Non è stata – racconta Giuseppe Pighin, titolare dell’azienda – un’iniziativa nostra. Un distributore di prodotti biologici tedeschi ha conosciuto i nostri prodotti, è venuto a trovarci e ci ha proposto di realizzare con lui un progetto di produzione biologica. Sia l’allevamento sia la distribuzione erano di fatto già molto vicini ai principi del biologico: allevamenti non intensivi, alimentazione equilibrata senza forzature, niente coloranti né conservanti. Per questo la conversazione non ha comportato per noi grandi cambiamenti e, non essendoci all’epoca un Regolamento comunitario, abbiamo adottato un disciplinare privato, quello del QC&I, un organismo di certificazione indipendente”.

Più spazio niente medicine
Perché un consumatore dovrebbe scegliere del pesce d’allevamento bio anziché quello convenzionale? “Il pesce da allevamento bio – risponde Marco Greco, responsabile dell’acquacoltura nel Comitato scientifico dell’Aiab – ha tutte le caratteristiche proprie dell’agricoltura e della zootecnia biologica: particolare attenzione al benessere animale, che in questo caso significa anzitutto minore densità di animali nelle vasche e nelle gabbie, e ciò porta a dover intervenire meno con i farmaci; minore consumo energetico; garanzia di assenza di Organismi geneticamente modificati; un sistema di controllo che garantisce l’applicazione del Regolamento”. Sulla questione del risparmio energetico, grande vanto dell’agricoltura biologica, l’acquacoltura lascia un po’ a desiderare: per portare una spigola al peso di 1 chilo ci vogliono, infatti, 5 chili di altri pesci. Uno spreco energetico che vale in diversa misura anche per tutti gli altri pesci carnivori allevati.  “È uno dei punti deboli dell’acquacoltura in generale – commenta Pino Lembo – però l’acquacoltura bio ha cercato strade per superarlo e ora il nuovo Regolamento detta le regole per farlo: ridurre al minimo indispensabile la quota proteica dell’alimentazione e utilizzare solo quella proveniente da pesci pescati in aree dove non è in atto un eccesso di sfruttamento: usare soprattutto scarti della lavorazione di altri pesci”. Funzionerà? Lo vedremo nei prossimi anni. E certo invece che le opportunità offerte dall’entrata in vigore del Regolamento potranno essere colte solo se gli imprenditori che entreranno in questo settore avranno lo stesso spirito innovativo dei loro precursori.

Grande attenzione al valore nutritivo
“Quasi dall’inizio – spiega Giuseppe Pighin di Friul Trota – abbiamo puntato sul prodotto trasformato. Per questo, a un certo punto, abbiamo fatto una ricerca per trovare il metodo di lavorazione migliore per mantenere alto il valore di acidi grassi Omega 3, preziosi per la salute, e il buon gusto del pesce. Questo ci ha portato a realizzare dei prodotti cotti al vapore con un quantitativo minimo garantito di Omega 3: un filetto di trota, una porzione di circa 120 grammi, corrisponde al contenuto di una pillola di Omega 3 venduta in farmacia”.

Trote bio anche  a scuola

La Friul Trote ha lavorato molto anche per entrare nella ristorazione scolastica e ora è presente in alcune scuole elementari e medie. Con quale accoglienza da parte dei bambini? “ Abbiamo provato – racconta Paghin – a fare medaglioni o hamburger di pesce con origano e pomodoro perché richiamassero il profumo noto della pizza. Abbiamo fatto assaggiare questi prodotti e di seguito abbiamo fatto provare i filetti normali. Quando la prova era preceduta dalla conoscenza del prodotto – i bambini sono venuti all’allevamento, hanno pescato, hanno visto la lavorazione – la maggior parte dei piccoli consumatori ha preferito il filetto normale”.

Pesci: che cosa cambia con il bollino bio - Ultima modifica: 2010-06-01T00:00:00+02:00 da Redazione

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