Viene chiamata anche "pizza di patate" ma non è una pizza; c’è chi la accosta al gattò napoletano, ma come vedremo vi si differenzia per origine, ingredienti e lavorazione. Insomma, la pitta è la pitta. Pur con le consuete interpretazioni per cui ci sono tante ricette quante sono le mani che le producono, questa rustica ma golosissima preparazione è diffusa in tutto il Salento, dove è una vera e propria istituzione. Comfort food casalingo ma anche cibo da portarsi dietro: una volta per i contadini che passavano la giornata fra i campi, oggi, e soprattutto quando arriva la bella stagione, per una pausa pranzo diversa e sfiziosa o per un picnic fuori porta. La pitta è, infatti, buona anche tiepida, o addirittura fredda (non di frigo, ovviamente) e gli intenditori giurano che il giorno dopo diventa ancora più speciale.
Pitta contro gattò
Per quanto ci siano delle innegabili somiglianze di ingredienti, composizione e cottura, fra la pitta pugliese e il gattò vi sono profonde differenze sia sul piano gastronomico che su quello storico-culturale. Lo sformato napoletano nasce come piatto raffinato delle tavole nobili napoletane dalle chiare influenze culinarie francesi. Mentre la pitta è un piatto molto più semplice e povero, figlio delle esigenze di economia e praticità delle classi lavoratrici. Se il gattò alla base di patate sposa condimenti costosi come il burro e il salame, la farcitura della pitta è invece realizzata con i più economici prodotti della terra, disponibili in buona quantità anche nelle famiglie contadine: cipolle, olive, capperi, solo una manciata di formaggio per insaporire e un uovo per tenere assieme il tutto. La versione che vi proponiamo è quella base, nella quale possono variare le erbette che aromatizzano (c’è chi usa solo menta o solo basilico, e chi preferisce prezzemolo o origano), oppure la predominanza di cipolla, pomodoro o formaggio.
Gli ingredienti base
Poiché semplici, è ancora più importante sceglierli di ottima qualità. Preferite quindi cipolle dolci, dorate o rosse, olive nere ben carnose, saporite ma non troppo salate (ovviamente da preferire quelle di origine salentina), un ottimo olio extravergine dal gusto intenso e un pecorino giustamente stagionato, non eccessivamente sapido (il pecorino romano perciò non è indicato).
Varianti più ricche
Ci sono altri elementi che personalizzano e arricchiscono il piatto. Una delle versioni più diffuse prevede che nel ripieno vada anche tonno sott’olio ben sgocciolato. Sono aggiunte comuni anche i peperoni sott’aceto o le “caruselle” (ossia finocchietto selvatico in salamoia o sott’aceto), che conferiscono un delizioso gusto agrodolce. Alcuni, addirittura, optano per una variante più estrema, sostituendo o aggiungendo alla farcia prosciutto cotto e formaggio, e talvolta anche besciamella, il che finisce per avvicinare, in effetti, la pitta al “cugino” napoletano.
La ricotta e il formaggio
Anche se alcune ricette fanno uso di ricotta di latte misto (con aggiunte di latte di pecora o di capra), la ricotta impiegata è generalmente vaccina. Secondo alcuni, in passato il formaggio usato per insaporire e gratinare i rabatòn era il montébore, un particolare prodotto locale a base di latte vaccino e ovino e dalla curiosa forma che ricorda una torta nuziale. Ora però è molto raro (tanto da essere un presidio Slow Food), pertanto il formaggio impiegato è preferibilmente il parmigiano oppure il grana.
Ora mettetevi all'opera!