Se si vuole combattere l’effetto serra, la desertificazione, il degrado dei suoli – si Legge in un comunicato stampa di "Salva la terra" - occorre scegliere l’approccio agroecologico che produce beni per tutti i cittadini. E per farlo, occorre che – oltre al mercato – anche le politiche si indirizzino con chiarezza allo sviluppo dell’agricoltura biologica. Oggi, oltre il 97% degli incentivi pubblici europei viene destinato nel nostro Paese a sostenere forme di agricoltura che diffondono nell’ambiente sostanze chimiche dannose all’ecosistema e alla salute umana. Mentre meno del 3% delle risorse pubbliche va a sostenere il ruolo di difesa ambientale e sanitaria svolto a molti livelli dagli agricoltori bio che – dal loro canto – pagano costi economici più alti per produrre in maniera pulita: più lavoro per produrre senza concimi e diserbanti di sintesi chimica, maggiori costi amministrativi e burocratici, costi aggiuntivi per difendersi dalla contaminazione accidentale e una produzione più contenuta.
Occorre quindi passare a un sistema di incentivi che tenga conto dell’importanza dei servizi forniti dall’agricoltura biologica: suolo, acqua e aria puliti; assorbimento del carbonio atmosferico e quindi lotta al cambiamento climatico; difesa della biodiversità; conservazione dei suoli. Occorre passare dal pagare i modelli di produzione agricola e zootecnica inquinanti a sostenere quelli che forniscono cura dell’ambiente, del paesaggio e anche dell’occupazione (nel biologico il lavoro incide per circa il 30% in più sulla produzione lorda vendibile rispetto al convenzionale). Occorre dare luogo alle dichiarazioni di principio e investire con decisione in agricoltura pulita, passando dal 15,4% di superficie coltivata a bio in Italia a fine 2017 al 40% di campi biologici entro il 2027, a conclusione del periodo di programmazione della nuova PAC.
Vietare l’utilizzo dei prodotti chimici più dannosi – ad esempio il glifosato - tanto per cominciare nei parchi e in special modo nelle aree protette dalle direttive europee, i siti Natura2000 e rimuoverlo da tutti i disciplinari di produzione che lo prevedono per escludere dai premi dei PSR chi ne fa uso. Attivare normative volte a prevenire il rischio di contaminazione accidentale con misure adeguate a carico di chi fa uso di prodotti chimici di sintesi nei terreni confinanti con quelli coltivati con il metodo biologico, applicando correttamente il principio “chi inquina paga”.
Queste le proposte alla politica scaturite dal Rapporto Cambia la Terra 2018 “Così l’agricoltura convenzionale inquina l’economia (oltre che il pianeta)” presentato oggi alla Camera dei Deputati a due mesi dalla sua pubblicazione da Maria Grazia Mammuccini, Ufficio di presidenza di FederBio e Daniela Sciarra, responsabile Filiere alimentari di Legambiente e discusso da Susanna Cenni e Filippo Gallinella, rispettivamente vicepresidente e presidente della Commissione Agricoltura della Camera assieme ai membri del comitato dei garanti di Cambia la Terra https://www.cambialaterra.it, un progetto voluto e promosso da FederBio, ISDE- Medici per l’Ambiente, Legambiente, WWF e Lipu.
Il modello agricolo del ‘900 (la cosiddetta rivoluzione verde: industrializzazione più chimica di sintesi) si sta esaurendo a causa dell’enorme impatto ambientale che ha generato: l’11% dei gas serra che stanno alzando la febbre del Pianeta proviene dai campi coltivati; l’allargarsi a dismisura di coltivazioni sta eliminando – a livello globale – boschi e foreste ed è una delle prime due cause di perdita di specie animali e vegetali. A dirlo non sono solo gli agricoltori biologici o gli ambientalisti ma anche la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite che in passato ha sostenuto il modello agricolo industriale e che proprio nell’aprile 2018 ha dichiarato che la rivoluzione verde deve considerarsi esaurita a causa dell’impatto ambientale prodotto, a cui non è corrisposto il raggiungimento dell’obiettivo di sfamare il mondo e di garantire un reddito minimo agli agricoltori. La stessa FAO stima che il 40% delle terre coltivate intensivamente andranno perse entro il 2050 mentre quelle coltivate con il metodo biologico manterranno stabili i livelli di produttività perché più fertili e con più elevata biodiversità.
Maggiori costi, più lavoro, rischio di perdere il marchio biologico se il raccolto viene contaminato accidentalmente dai pesticidi rilasciati nell’aria da un coltivatore convenzionale vicino e trasportati da un corso d’acqua inquinato. Ci sono intere aree d’Italia, ad esempio quella di coltivazione del prosecco, dove agli agricoltori biologici non è sostanzialmente permesso di svolgere la propria attività. Ma proprio in questi giorni si comincia a discutere a livello parlamentare della legge nazionale sull’agricoltura biologica. Ed è aperto il confronto istituzionale sull’aggiornamento del PAN pesticidi e sulla definizione della nuova PAC 2021-2027: è quindi il momento di fare scelte chiare per ridurre drasticamente l’uso dei pesticidi e diffondere l’agricoltura biologica.
“Occorrono scelte coraggiose, lo stato del pianeta impone con urgenza di lasciare alle spalle metodi di produzione a forte impatto ambientale. Per questo è necessario puntare ad aumentare le superfici coltivate con il metodo biologico; per garantire il contrasto al cambiamento climatico, la tutela del suolo, della biodiversità e della salute dei cittadini. Ma puntare sull’agricoltura biologica è anche una opportunità strategica di sviluppo per le aziende agricole e di occupazione per i giovani”, dice Maria Grazia Mammuccini di FederBio presentando le proposte di Cambia la terra alla politica.
“C’è chi è preoccupato- continua Mammuccini - e reagisce in malo modo perché il biologico e il biodinamico si stanno rapidamente affermando, guadagnando posizioni sul mercato e mettendo sempre più in evidenza che il modello di agricoltura basato sull’uso intensivo della chimica di sintesi e sull’ingegneria genetica è ormai superato. Ma la realtà è questa, e oggi la vera innovazione anche in ambito scientifico è seguire l’approccio agroecologico per coltivare in armonia con la natura”.
In Italia, a oggi, la Politica agricola europea (PAC), nel periodo 2013-2020, ha destinato 963 milioni di euro all’agricoltura biologica (secondo i dati elaborati dall’Ufficio studi della Camera dei deputati), contro i 41,5 miliardi destinati a quella convenzionale. Se si ragiona in termini di superficie, sei volte in meno di quello che le spetterebbe, anche senza tener conto dei benefici ambientali che crea e che invece andrebbero contabilizzati e incentivati. Per questo motivo il comitato di Cambia la Terra chiede un cambio di rotta per la futura PAC alla luce dei benefici ambientali ed economici che l’agroecologia e più specificamente l’agricoltura biologica, che è l’applicazione più diffusa di questo approccio sostenibile all’agricoltura, può portare. A cominciare dalla conservazione del paesaggio e dalla tutela dei territori più fragili vessati dall’erosione, dalla desertificazione e dal dissesto idrogeologico fino ad arrivare alla tutela della salute pubblica.
Cambia la terra – No ai pesticidi, sì al biologico è un progetto di informazione e sensibilizzazione voluto da Federbio con Isde- Medici per l’ambiente, Legambiente, Lipu e WWF, con un comitato di garanti composto da alcune personalità del mondo dell’associazionismo e della ricerca. A sostenere il progetto, un gruppo di aziende del biologico: Aboca, Germinal Bio, NaturaSì, Pizzi Osvaldo, Probios e Rigoni di Asiago.