E’ successo negli ultimi dieci anni e a tutto vantaggio delle importazioni provenienti dai paesi terzi. La necessità di invertire questo andamento è una delle ragioni della proposta di riforma presentata dalla Commissione europea. Gli strumenti previsti dal nuovo regolamento sono adeguati all'obiettivo di far crescere aziende e superfici destinate all'agricoltura biologica? Ne parliamo con Francesco Giardina, coordinatore del Sinab
A fine marzo la Commissione europea ha presentato la “Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici” http://www.sinab.it/sites/default/files/share/Biologico%20-%20Proposta%20di%20regolamento%20COM%20180%20final%2024%2003%2014.pdf
che si propone di modificare il quadro di riferimento normativo cui finora il settore del biologico ha fatto riferimento. Su questa proposta il Mipaaf (Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestale) ha avviato una fase di consultazione con le organizzazioni di categoria e con le associazioni del biologico, anche in vista del semestre della presidenza di turno italiana iniziato ai primi di luglio. In attesa di conoscere i contenuti di questa consultazione “Informabio” propone, attraverso delle brevi interviste, una sorta di “tavola rotonda virtuale” sui temi sollevati da questa proposta di riforma che interessano non solo gli addetti ai lavori (agricoltori, trasformatori, commercianti, tecnici, controllori) ma anche i cittadini-consumatori.
Questa settimana ne parliamo con Francesco Giardina, coordinatore del Sinab (Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica).
In generale qual è la sua opinione sulla proposta di riforma presentata dalla Commissione europea?
Difficile dare un giudizio d’insieme perché è una proposta molto vasta e complessa, con molti rinvii ad altri provvedimenti – come per esempio quello sui controlli igienico-sanitari – di cui non sono ancora noti i contenuti. La mia opinione è che c’era bisogno di una riorganizzazione normativa complessiva del settore, quindi ben venga questa proposta della Commissione con le sue premesse condivisibili che pongono le basi per una discussione proficua i cui esiti concreti sono ancora del tutto aperti. Fra queste premesse voglio ricordarne due, una di carattere istituzionale e una che ha a che fare con il problema produzione-consumi-importazioni.
Per quanto riguarda l’aspetto istituzionale, è chiaro da tempo che il Regolamento sull’agricoltura biologica non risponde a quanto previsto dal trattato di Lisbona riguardo agli equilibri nella partecipazione delle diverse istituzioni europee (parlamento, commissione, consiglio ecc.) ai processi decisionali, ora insoddisfacenti per esempio per lo scarso peso del parlamento. Era dunque necessaria una riforma.
Peccato però che la proposta della Commissione, attraverso un uso troppo ampio dello strumento degli “atti delegati” avochi alla Commissione stessa il potere di articolare e decidere su proposte di cui, nel testo oggi in discussione, si indica solamente il titolo. Questa impostazione, che è la parte più discutibile della proposta di riforma, ha sollevato molte critiche sia dai “portatori d’interessi” del mondo bio europeo sia dalle istituzioni dei paesi membri, pertanto nella discussione dei prossimi mesi si cercherà di trovare altre soluzioni.
E l’altra premessa condivisibile che riguarda il tema produzione-consumo-importazione?
La Commissione è partita da un dato chiaro e impressionante: in dieci anni il mercato europeo dei prodotti biologici è cresciuto di quattro volte, mentre la produzione è solo raddoppiata. Ne risulta ovviamente che quell’aumento dei consumi è andato in buona parte a incrementare le importazioni. Constatata questa situazione, la Commissione ha messo all’ordine del giorno la necessità di invertire questa tendenza e di aumentare il peso delle produzioni comunitarie. La considerazione successiva è stata che la normativa europea sull’agricoltura biologica non era adeguata a promuovere e organizzare questa crescita e che, perciò, era necessaria una riforma dell’intero impianto normativo.
La proposta di riforma della Commissione contiene modifiche che vanno nella direzione di superare il divario fra aumento dei consumi e minore aumento delle produzioni, a vantaggio dei paesi importazioni dai paesi terzi?
Sicuramente va in questa direzione la riforma dei rapporti con i paesi non appartenenti all’Unione europea (paesi terzi) che è la parte più positiva di questa proposta. Finora, infatti, questo rapporto si basava sul concetto di equivalenza. In concreto un certo numero di organismi di certificazione europei erano autorizzati a decidere se i prodotti provenienti da un paese terzo, pur non essendo prodotti con le modalità previste dal Regolamento europeo, erano però “equivalenti”, quindi importabili come biologici a tutti gli effetti. Questo metodo ha creato una grande confusione, reso troppo larghe le maglie della rete dei controlli e facilitato l’ingresso dei prodotti d’importazione. La proposta della Commissione prevede l’abbandono del concetto di equivalenza, che sarà sostituito da quello di conformità, vale a dire che i prodotti importati dovranno essere frutto di un processo produttivo con regolare conformi al Regolamento europeo. In questo modo l’ingresso di prodotti dai paesi terzi sarà improntato a una maggiore selezione qualitativa a difesa dei consumatori, ma anche dei nostri produttori. Non solo, gli accordi con i paesi terzi che si faranno sulla base del principio di conformità, conterranno anche una clausola di reciprocità, ora inesistente: voi potete esportare da noi, a condizione che noi possiamo esportare da voi.
E la crescita della produzione e dell’offerta interna, per adeguarla alla domanda crescente?
Gli strumenti previsti dalla proposta della commissione sono talvolta contradittori e lasciano perplessi. Penso per esempio alla partita delle deroghe che si vorrebbe abolire, tutte, indiscriminatamente e subito. Difficile conciliare questo indirizzo con la necessità di incoraggiare e facilitare la conversione al biologico di nuove aziende, o l’aumento della produzione in quelle che sono già all’interno del sistema di controllo. Penso, per esempio, alla deroga sulla conversione parziale dell’azienda a biologico, che invece dovrebbe diventare totale o niente. O a quella sulle sementi che dovrebbero essere al 100% bio.
Quindi è giusto mantenere le deroghe?
Non dico questo. E’ chiaro che non si può andare avanti a suon di deroghe come in parte si è fatto finora, perché c’è il rischio di rendere permanenti certe situazioni. Ma usare la mannaia è pericoloso. La cosa più saggia sarebbe esaminare ogni deroga attualmente in vigore e verificare se esistono ancora le condizioni che l’anno resa necessaria. Se non esistono più la deroga si toglie, se esistono ancora si definisce un percorso e i relativi tempi per eliminarle. Torniamo all’esempio dei semi: oggi non c’è una filiera produttiva e un mercato delle sementi biologiche in grado di soddisfare la domanda degli agricoltori bio. Come si fa e quanto tempo ci vuole per costruirli? Con quale concorso delle istituzioni europee e dei paesi membri? Con quale concorso delle aziende sementiere?
Naturalmente su queste tematiche non interviene solo la proposta di riforma di regolamento, ma anche il Piano d’azione europeo per il biologico che è stato presentato in contemporanea dalla Commissione. Dove, per esempio, si sottolinea la necessità di meglio integrare l’agricoltura biologica nella programmazione della PAC o dove si sollecita a dare sempre più importanza all’agricoltura biologica quando si discutono i Piani di sviluppo rurale.
C’è chi teme che si voglia passare da un sistema di certificazione che controlla tutto il ciclo produttivo, incluso il prodotto finale, a un sistema che controlla solo il prodotto finale…
Questa preoccupazione nasce dal fatto che il sistema di controllo del biologico passerà sotto la giurisdizione della Direzione generale salute e consumatori, mentre finora era sotto la Direzione generale agricoltura. Infatti, la proposta della Commissioni rinvia, per quanto riguarda i controlli e la certificazione a un altro regolamento, quello dei controlli ufficiali di tutto l’agroalimentare, dove non c’è dubbio che l’enfasi è messa sulle analisi fatte sul prodotto finale per accertarne la conformità igienico-sanitaria, compresa quella attinente la presenza di residui di pesticidi. Questo cambiamento risponde a due esigenze. Da una parte realizzare un regolamento che valga per tutto il settore agroalimentare, inclusi i settori che hanno loro regolamenti particolari – come appunto il biologico, ma anche le Dop ecc. Dall’altra quella di rispondere a una richiesta di maggiore sicurezza da parte dei consumatori – che sarebbe emersa dalla consultazione pubblica promossa dall’Unione europea sul biologico – che include anche la questione dei residui di pesticidi nei prodotti biologici. Ora, è ben vero che l’agricoltura biologica è un processo complesso che non si può ridurre e banalizzare al non uso dei pesticidi. Dunque deve restare fermo che è l’applicazione di questo processo complesso che va garantito attraverso il controllo e la certificazione. Ciò però non può portarci a eludere la questione dei residui di pesticidi: è necessario fissare dei livelli di soglia, uguali per tutti a livello comunitario, stabilire cosa succede quando vengono superati, regolamentare l’accertamento delle responsabilità in modo che se il responsabile della contaminazione non è l’agricoltore, non sia lui a pagare ecc.
C’è una proposta dell’Unione europea su come affrontare questi problemi?
Al momento la proposta di nuovo regolamento sui controlli ufficiali non ha ancora terminato il suo iter di approvazione. Quando ciò avverrà, si tratterà di capire come s’intende far funzionare un sistema di controllo e certificazione che attingerà le sue regole e suoi modi di operare da due diversi regolamenti, quello generale sui controlli ufficiali dell’agroalimentare e quello specifico sul biologico. Sarà una discussione molto complessa e in quel contesto si capirà se c’è davvero il rischio che si abbandoni la peculiarità del biologico. Vale a dire che perda peso un sistema che certifica il prodotto come biologico solo se il suo intero ciclo produttivo risponde alle regole dettate dal regolamento, a favore di un sistema che, invece, mette al centro l’esame finale del prodotto.
Le interviste pubblicate in precedenza
Paolo Carnemolla, presidente di Federbio
http://www.cucina-naturale.it/section/article/sara_stravolto_il_concetto_stesso_di_prodotto_biologico
Fabrizio Piva, amministratore delegato di CCPB
http://www.cucina-naturale.it/section/article/residuo_zero_non_e_biologicoVincenzo
http://www.cucina-naturale.it/section/article/un_buon_punto_di_partenza_per_una_riforma_necessaria