Sarà stravolto il concetto stesso di “prodotto biologico”?


E’ quello che si rischia se si passa da un modello di certificazione che prende in esame l’intero processo produttivo, a uno che verifica semplicemente se nel prodotto finale sono presenti o meno residui di pesticidi. Con questa intervista a Paolo Carnemolla, presidente di Federbio, iniziamo una “tavola rotonda virtuale” sulla proposta di nuovo Regolamento avanzata dalla Commissione europea

 

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Il 25 marzo di quest’anno la Commissione europea ha presentato la “Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici” che intende modificare il quadro di riferimento normativo cui finora il settore del biologico ha fatto riferimento. Su questa proposta il Mipaaf (Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali) ha avviato una fase di consultazione con le organizzazioni di categoria e con le associazioni del biologico, anche in vista del semestre della presidenza di turno italiana che inizia a giugno. In attesa di conoscere i contenuti di questa consultazione “Informabio” propone, attraverso delle brevi interviste, una sorta di “tavola rotonda virtuale” sui temi sollevati da questa proposta di riforma che interessano non solo gli addetti ai lavori (agricoltori, trasformatori, commercianti, tecnici, controllori) ma anche i cittadini-consumatori.
Cominciamo con Paolo Carnemolla, presidente di Federbio, la federazione cui aderisce gran parte del mondo associativo del bio.

Qual è il suo giudizio d’insieme su questa proposta di nuovo regolamento?

Penso che questa proposta potrebbe stravolgere il concetto stesso di “prodotto da agricoltura biologica”. Mi spiego. La cosa che salta più immediatamente agli occhi è che manca tutta la parte che riguarda i controlli e la certificazione, che è stata sempre centrale e caratterizzante della regolamentazione europea dell’agricoltura biologica. Da quel che si è capito, comparirà in un altro regolamento, quello che riguarda l’agroalimentare in generale, di competenza della Direzione generale salute e consumi e non più della Direzione generale agricoltura.

Questo che conseguenze potrebbe avere?

Difficile dare una valutazione su questo aspetto perché non si sa esattamente come verrà affrontato. Fatto sta però che il passaggio alla competenza del ministero della Sanità potrebbe preludere a un cambiamento generale del sistema di controllo passando da quello attuale che prevede il controllo e la certificazione dell’intero processo produttivo, incluse le analisi del prodotto finale, a un sistema nel quale tutta l’attenzione si sposterebbe nettamente sulle analisi del prodotto finito, fino a correre il rischio di cambiare la definizione stessa di prodotto biologico. Non si tratterebbe più di un prodotto che è il risultato di un processo produttivo di cui sono note le regole e la cui applicazione è garantita dal lavoro degli organismi di controllo, bensì di un prodotto di cui si attesta che non contiene residui di pesticidi o che mantiene i residui al di sotto di determinati livelli. Il tutto accertato solo attraverso dei semplici esami di laboratorio.
Va in questa direzione anche la norma sull’inquinamento accidentale – mutuata purtroppo da una norma che finora c’era solo nel nostro paese - che instaura un automatismo: se un principio attivo è presente al di sopra di una percentuale determinata, il prodotto non può essere commercializzato come biologico. Ora, se si tratta d’inquinamento accidentale dovuto, per esempio, a trattamenti chimici fatti da un’azienda confinante, che senso ha decidere esclusivamente sulla base di un’analisi di laboratorio? Se non si prende in considerazione l’intero processo produttivo come si fa a stabilire se l’agricoltore ha messo in atto le misure per difendersi dall’inquinamento indiretto, oppure se le responsabilità del danno sono da attribuire al vicino? Sarebbe molto più sensato che fosse l’organismo di controllo a decidere le misure da prendere, incluse eventuali sanzioni, sulla base di un insieme di fattori che riguardano l’intero ciclo produttivo e l’ambiente in cui è inserito, anziché solo sulla base di un esame di laboratorio che accerta una presenza di residuo non ammesso.

Aspetti positivi?

Naturalmente ce ne sono. D’impostazione generale come l’indicazione che gli obiettivi delle politiche sull’agricoltura biologica debbono essere integrate con quelle più generali della Politica agricola comune (PAC). Oppure i cambiamenti previsti nella regolamentazione delle importazioni dai paesi terzi, inclusa l’abolizione dell’attuale regime di equivalenza che già tanti problemi ha provocato. Si potrebbero fare anche altri esempi, il fatto è che in molti, troppi casi la proposta di Regolamento si limita a dare una definizione molto sintetica e generica del problema che si intende affrontare rimandando per una definizione precisa ad atti delegati o di esecuzione da parte della Commissione europea.

Cosa significa?

Significa che, anche se la Commissione dovrà sentire i rappresentanti dei paesi dell’Unione, con questo uso diffuso degli atti delegati si attribuisce alla Commissione un potere, tendenzialmente discrezionale, enorme. Infatti, adesso ci aspetta un lungo periodo di discussioni e negoziazioni dalle quali però è prevedibile che saranno esclusi tutti i temi per i quali si rinvia agli atti delegati della Commissione. Con due conseguenze gravi. Da un lato si crea un deficit di democrazia e di partecipazione ai processi decisionali dell’Unione europea che già ora sono considerati fortemente carenti da gran parte dei cittadini. D’altra parte si crea un clima d’incertezza fra le aziende agricole che, in questa situazione, non sono certo invogliate a investire, a correre dei rischi. Invece di facilitare lo sviluppo delle aziende e delle superfici a biologico si rischia l’effetto contrario. Ma questo rischio è connesso anche ad altre proposte.

Quali altre proposte rischiano di deprimere lo sviluppo del biologico anziché sostenerlo?

Penso per esempio al fatto che il nuovo regolamento esclude che un’azienda possa avere una parte dei terreni coltivati a biologico e una parte a convenzionale, anche se si tratta di coltivazioni completamente diverse come per esempio cereali e alberi da frutta, ortaggi e allevamento bovino, su parcelle di terreno nettamente distinte. Per fare solo un esempio: le aziende a conduzione mista in Emilia Romagna sono circa il 24% del totale, ma la superficie che occupano è percentualmente molto più alta. Quante di queste sceglieranno di convertire tua la loro superficie? O, viceversa, quante di loro decideranno di uscire dal sistema di controllo e certificazione del biologico? Un altro esempio: il nuovo regolamento prevede che il 95% (finora era intorno al 70%) dell’alimentazione degli animali allevati debba provenire dall’azienda stessa o dal circondario. Ora, fin che si tratta di animali che vanno al pascolo come i bovini il discorso può anche essere sensato. Ma un ragionamento del tutto diverso andrebbe fatto per altre specie, come i suini, che si nutrono di mangimi che, nelle condizioni del nostro paese, non è facile produrre a livello aziendale o comprensoriale. Ecco, con queste e altre misure si corre seriamente il rischio di ridimensionare la produzione europea anziché aumentarla, costringendoci a ricorrere all’importazione, ancora più di quanto facciamo oggi.

In conclusione?

Io credo che non ci siano state mai condizioni così favorevoli come in questo periodo per avviare un passaggio epocale per quello che è sempre stato l’obiettivo del movimento per l’agricoltura biologica, vale a dire applicare il nostro metodo a tutta l’agricoltura e non solo a una sua parte più o meno grande, essere, insomma, l’alternativa globale all’agricoltura convenzionale. La proposta della Commissione va in questa direzione? Io credo di no, ma credo anche che la discussione che si svilupperà durante il semestre della presidenza italiana ci dovrà vedere impegnati in particolare a correggere tutti quegli aspetti della proposta della Commissione che, appunto, rischiano di deprimere lo sviluppo del biologico anziché sostenerlo. Al tempo stesso è necessario essere consapevoli che la difesa dei consumatori dalle frodi non si realizza solo fissando nuove regole se, al tempo stesso, non migliora significativamente il sistema di controllo e certificazione che invece nella proposta della Commissione allo stato attuale, come abbiamo visto all’inizio, è un buco nero.

 

Per saperne di più sulla proposta di revisione della Commissione UE

Sarà stravolto il concetto stesso di “prodotto biologico”? - Ultima modifica: 2014-06-16T00:00:00+02:00 da Redazione

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