Residuo zero non è biologico


Perché un prodotto a residuo zero, non contiene residui di pesticidi, anche se per coltivarlo ne sono stati usati diversi. Mentre un prodotto biologico non li contiene perché per produrlo non ne sono stati usati, in più è frutto di un sistema di coltivazione che salvaguarda ambiente, biodiversità, fertilità del suolo ecc.
Con questa intervista a Fabrizio Piva, amministratore delegato di CCPB, prosegue la nostra “tavola rotonda virtuale” sulla proposta di nuovo Regolamento avanzata dalla Commissione europea

Il 25 marzo di quest’anno la Commissione europea ha presentato la “Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici” che si propone di modificare il quadro di riferimento normativo cui finora il settore del biologico ha fatto riferimento. Su questa proposta il Mipaaf (Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestale) ha avviato una fase di consultazione con le organizzazioni di categoria e con le associazioni del biologico, anche in vista del semestre della presidenza di turno italiana che sta per iniziare. In attesa di conoscere i contenuti di questa consultazione “Informabio” propone, attraverso delle brevi interviste, una sorta di “tavola rotonda virtuale” sui temi sollevati da questa proposta di riforma che interessano non solo gli addetti ai lavori (agricoltori, trasformatori, commercianti, tecnici, controllori) ma anche i cittadini-consumatori.
Questa settimana ne parliamo con Fabrizio Piva, amministratore delegato di CCPB.

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Qual è la sua valutazione d’insieme della proposta della Commissione?

La mia valutazione d’insieme è totalmente negativa, per una serie di fattori specifici ma in primo luogo perché non si capisce per quale motivo, dopo la revisione del regolamento entrata in vigore nel 2009, si senta il bisogno di cambiare di nuovo tutto, mentre le aziende cominciano a metabolizzare sia le nuove regole del sistema di produzione sia quelle del sistema di controllo e certificazione. Questo non significa dire che il sistema attuale va bene così com’è. Sicuramente sono possibili delle modifiche e dei miglioramenti. Per esempio riguardo al regime d’importazione da paesi non Ue. Oppure rispetto alle deroghe di cui è giusto prevedere delle scadenze definite altrimenti non si aiutano le aziende e il sistema nel suo insieme a crescere. Oppure prevedere alcune misure che rafforzino il significato ambientale del metodo biologico, come miglioramenti nel ciclo delle acque nell’azienda, oppure la produzione di energie rinnovabili. Facendo però attenzione a non caricare le aziende bio, e solo loro, di nuovi vincoli che inciderebbero sui costi correndo il rischio di ridurne la competitività. Ecco, questi e altri miglioramenti sono possibili, ma non giustificano in questo momento un cambiamento dell’impianto complessivo della normativa.

Quali sono gli aspetti della proposta che concorrono a farle dare un giudizio complessivamente negativo?

L’aspetto più negativo riguarda il rischio che, nel sistema di controllo e certificazione, si sposti il centro dell’attenzione dal processo produttivo al prodotto finito. La proposta della Commissione non è esplicita in questo senso. Però un chiaro indizio viene dal fatto che si rinvia la materia della certificazione ai controlli ufficiali, a un regolamento, ancora da scrivere, che riguarda in generale gli alimenti visti sotto il profilo della sicurezza e dei rischi igienico sanitari. Mentre, invece, nella valutazione dei rischi in agricoltura biologica, oltre a quelli igienico sanitari per l’operatore e per il consumatore finale, si prendono in considerazione anche altri tipi di rischi, per esempio, per l’ambiente, per la fertilità del suolo, per la biodiversità, sia agronomica sia selvatica ecc. Un altro indizio viene dal fatto che la competenza dei controlli e della certificazione dei prodotti biologici passeranno alla Direzione generale salute e consumatori, mentre ora sono di competenza della Direzione generale agricoltura. In quell’ambito i controlli riguardano, appunto, quasi esclusivamente gli aspetti della sicurezza igienico sanitario dei prodotti. Peraltro questo tipo di controlli sono già fatti anche sui prodotti biologici, ma in aggiunta ai controlli effettuati da appositi organismi per verificare che il metodo di produzione applicato sia quello indicato dal Regolamento europeo. Apparentemente i cambiamenti che si vogliono introdurre sono rivolti a una migliore difesa del consumatore, è possibile, infatti, che questo spostamento dalla certificazione di processo alla certificazione di prodotto sia il frutto di una richiesta che viene dai consumatori attraverso la consultazione fatta dalla Commissione qualche mese fa con lo scopo di raccogliere pareri e suggerimenti per la riforma del Regolamento. Ma la conseguenza più probabile sarà un appiattimento verso il basso dei parametri per valutare la qualità e la conformità alle regole dei prodotti alimentari.

In che senso?

E’ chiaro che i consumatori hanno tutto il diritto di chiedere che i prodotti biologici siano a residuo zero.  Però debbono sapere che un prodotto a residuo zero non è un prodotto biologico. L’appiattimento consiste nel fatto che lo spostamento di attenzione al solo prodotto finito cancellerebbe la differenza fra un prodotto che è stato ottenuto con l’uso di pesticidi, ma arriva sul mercato senza residui e un prodotto che, invece, è stato ottenuto senza l’uso di pesticidi. Insomma, se non si mantiene fermo il concetto che biologico è un prodotto che è stato ottenuto attraverso l’applicazione di pratiche agricole e di trasformazione previste finora dai Regolamenti Ue sull’agricoltura biologica, è inevitabile l’appiattimento fra prodotti con differenze sostanziali quanto al metodo con il quale sono coltivati e di conseguenza ai loro effetti sull’ambiente, la salute e la biodiversità.

Qual è invece la novità più positiva introdotta dalla proposta di Regolamento della Commissione?

La proposta più positiva riguarda la modifica del regime d’importazione dai paesi non UE che va nella direzione della semplificazione e di una maggiore difesa degli interessi dei consumatori e dei produttori bio europei. Attualmente, vige il sistema dell’equivalenza: ci sono circa 63 organismi di controllo che sono stati autorizzati dalla Commissione a certificare che determinati prodotti, anche se non sono stati coltivati applicando esattamente  le stesse regole previste dal Regolamento Ue sono lo stesso accettabili come biologici, sulla base dei criteri di equivalenza stabiliti dai diversi organismi di controllo. Questo ha causato delle differenze di trattamento e una grande confusione che ha reso molto difficili i controlli come ha più di una volta sottolineato anche la Corte dei Conti Europea. Ora, la nuova proposta di regolamento, prevede che i prodotti provenienti da paesi non UE per entrare in Europa come prodotti biologici non è più sufficiente che siano considerati equivalenti, debbano essere conformi al Regolamento UE, cioè coltivati con le stesse regole. Questa è la direzione giusta, ma io credo che bisognerà tenere conto delle differenze di strutture produttive e di controllo che possono essere presenti in determinati paesi e applicare delle deroghe a termine per dare il tempo a questi paesi di adeguarsi.

Interviste già pubblicate
Paolo Carnemolla, presidente di Federbio

Residuo zero non è biologico - Ultima modifica: 2014-06-22T00:00:00+02:00 da Redazione

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