Quando nascono i bambini, i giovani genitori si lasciano alle spalle gli anni dei pasti disordinati e riscoprono il più antico rito dell’umanità: mangiare insieme, oggi un’abitudine... tutt’altro che naturale!
In passato, quando il cibo era scarso, essere sgridati e mandati a letto senza cena era una delle punizioni più temute dai bambini. Ma basta leggere le pagine di Calvino per capire che il “Via da questa tavola!” intimato dal severo Barone di Rondò non era soltanto una condanna al digiuno: essere esclusi dal pasto condiviso significava, e significa ancora, essere respinti dal più importante rito che unisce la famiglia, e quindi essere emarginati dal gruppo, essere messi all’indice. Da sempre, a tavola ci sono due elementi, il cibo e le norme, entrambi da accettare se si vuole fare parte della comunità. Il pasto, per noi umani, non è solo il soddisfacimento di un bisogno del corpo ma è un’abitudine sociale carica di simboli che affondano le radici nella preistoria quando bisognava lavorare insieme pur di procurarsi il cibo e quando, una volta scoperto il fuoco, le persone cominciarono a raccogliersi attorno al focolare per preparare e consumare alimenti cotti. È facile comprendere come, già allora, mangiare con gli altri significasse fare parte di un gruppo sociale e potersi identificare con esso.
Quante regole da accettare!
Ogni volta che in una casa nasce un bambino, quel rito si ripete. Per i più piccoli questo riconoscimento è una conquista che si paga prima di tutto con la rinuncia al privilegio della prima infanzia: quello di avere un adulto a propria disposizione che allatta, che imbocca, che asseconda ogni necessità. A pranzo e a cena, invece, cambia tutto: le regole sono quelle dei grandi e i bambini devono rispettarle. In Italia, fino al secondo dopoguerra del Novecento, la tavola era una scuola severa: bisognava mandare giù qualunque alimento venisse servito e si poteva parlare “solo se interrogati”. Oggi, per fortuna, il pasto è diventato più informale. I bambini sono ammessi fin da piccoli a mangiare con gli adulti, si chiacchiera insieme e molti rifiuti sono tollerati. Nonostante ciò, imparare a stare a tavola è ancora un’impresa difficile: bisogna adattarsi al cibo della società in cui si nasce, avere il controllo della postura e dei movimenti del corpo, sapere aspettare, ascoltare, condividere le portate e le emozioni, conversare, tenere conto delle esigenze degli altri, fare proprie le norme della buona educazione, rispettare orari e richiami, stai dritto, stai composto, mangia piano, giù i gomiti, usa il tovagliolo, finisci quello che hai nel piatto, e adattarsi a contesti diversi, per esempio a scuola o all’asilo.
Un’abitudine condivisa che aiuta a crescere
Se i bambini potessero assecondare i loro impulsi, ubbidirebbero alla fame e alla gola e mangerebbero solo i cibi che gradiscono di più, masticando in giro per casa. Fin da piccoli, invece, la famiglia insegna loro a trasformare quell’istinto naturale in un’abitudine culturale ritualizzata, cioè a compiere quel fondamentale passo evolutivo con cui l’uomo imboccò la strada della civiltà, fondata sull’identità di gruppo. La tavola, dunque, non è banalmente un luogo dove si mangia, cosa che si potrebbe fare ovunque, ma un luogo dove si trasmette cultura; dove i bambini entrano a contatto con regole, valori, idee, sentimenti, stimoli sensoriali, conoscenze e competenze; dove imparano da ciò che vedono, nel bene e nel male: le cattive abitudini dei grandi diventano le loro.
Clima sereno e poche distrazioni
La tavola è anche diventata un luogo di nuove tensioni: gli orari non coincidono, smartphone e tv disturbano e distraggono, i commensali reclamano cibi diversi e c’è poco tempo per mangiare con calma perché tutti devono correre a fare altro. Nonostante ciò, non bisogna fare l’errore di credere che ci siamo stancati di mangiare insieme: non c’è incontro o celebrazione che non comporti la condivisione di un alimento o una bevanda, anche nelle feste dei più piccini. Quello che i bambini forse non sanno dire a parole ma sanno trasmettere con la loro irrequietudine è che non è così bello stare a tavola se il momento del pasto perde le sue più preziose valenze culturali e diventa solo un compito da sbrigare, se noi adulti presentiamo il cibo come se fosse una medicina (mangia che ti fa bene), se la tavola non è apparecchiata con cura e se non si riesce a ridere, parlare di cose piacevoli e interessanti. In fondo, il grande sogno di ogni bambino non è quello di poter mangiare chili di cioccolata, ma quello di leggere sul volto del genitore la felicità di stare insieme.
I perché nel piatto
Quando si mangia, un argomento di conversazione interessante è sicuramente il perché delle nostre abitudini alimentari. Ai bambini piacerà sicuramente scoprire che un tempo il tavolo da pranzo non faceva parte dell’arredamento della casa. C’era un’asse (una tavola di legno) che, all’occorrenza, si montava sui cavalletti. È per questo motivo che diciamo “mettere la tavola”. Anche la storia delle posate è curiosa. L’uso della forchetta, ad esempio, si è diffuso solo negli ultimi tre secoli. Introdotta nel nostro paese da una principessa bizantina, fu a lungo osteggiata, specie negli ambienti religiosi, perché ricordava il forcone del diavolo. Nei conventi e nei monasteri il suo uso era vietato. Cominciò a poco a poco a circolare tra la nobiltà grazie a Caterina de’ Medici, che la introdusse alla corte di Francia. Una volta tramontata l’abitudine di mangiare con le dita, cambiò anche la funzione del tovagliolo, non più usato per pulirsi continuamente le mani ma appoggiato sul grembo per proteggere gli abiti.
Regole d’oro per star bene a tavola
Ci sono tanti piccoli accorgimenti per trasformare il pasto in un appuntamento gradevole e coinvolgente per tutti, evitando così che i bambini finiscano per adottare comportamenti bizzarri pur di attirare l’attenzione: una tavola apparecchiata con cura, porzioni adeguate, piatti non troppo ripetitivi, coinvolgimento attivo dei più piccoli nella preparazione e nel riordino, durata adeguata (circa venti minuti) e infine poche e chiare regole di galateo, che non riguardano solo l’uso delle posate e il modo di consumare il cibo, ma anche la conversazione. A questo proposito, i principi di base sono solo quattro:
No ai rumori sgradevoli versi e altri suoni fastidiosi vanno banditi. Ridere quando un bambino fa “rumorini” significa autorizzarli.
Cortesia, no alle parolacce e alle espressioni forti, volgari o offensive.
Rimandare i conflitti al dopo pasto, la tavola è un momento di tregua, non di scontro.
Argomenti piacevoli e alla portata di tutti Per funzionare bene, lo stomaco ha bisogno di un clima sereno, quindi sono da evitare tutti i temi che possono generare fastidio.