Che cosa sono?
Tsukemono, dal Giappone con sapore

tsukemono
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Sfiziosi e leggeri, gli tsukemono, preparazioni salate e fermentate, fanno capolino sulle tavole dei ristoranti tradizionali nipponici. Ce ne sono davvero tanti, più semplici o elaborati. Scopriamoli per inserirli anche nella nostra cucina di casa. Ma non chiamiamoli sottaceti!

Gli tsukemono sono “contorni” giapponesi preparati principalmente attraverso salatura, salamoia e marinatura (ma esistono anche fermentazioni più complesse) che ritroviamo spesso in accompagnamento agli altri elementi del pasto nei ristoranti giapponesi.

L’ingrediente base è principalmente la verdura, fresca e di stagione. Ma protagonista può essere anche la frutta, come nel caso delle umeboshi, le popolari albicocche giapponesi in salamoia, perfette con il pesce e la carne fritti, ma anche come insaporitori del riso per onigiri e bento, la classica “schiscietta” giapponese. Non solo vegetali però, ne esistono anche a base di pesce, uova o carne. Qualche esempio? Tsukemono di pesce come il saikyozuke, pesce bianco al miso da servire grigliato, o il matsumaezuke di seppie, uova di aringa e carote alla soia.

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Il loro posto nella tradizione

Il pasto base giapponese non nasce come lo conosciamo noi oggi. In origine era composto solo dal riso, quando possibile accompagnato da una tazza di brodo di verdure, pesce o alghe, che arricchiva di sostanze nutrienti il pasto. È solo con la diffusione dell’agricoltura che appaiono le verdure, fresche di stagione, cucinate o crude, oppure conservate, come gli tsukemono. Questi hanno svolto un ruolo importante nella cultura storica del Giappone - quando i pasti tradizionali non contenevano carne o pesce (per questioni di reddito o per scelte religiose) - poiché, serviti a ogni pasto, fornivano vitamine, minerali e spesso anche proteine. E rappresentavano inoltre un modo per conservare le verdure.

Dalla colazione all’aperitivo

Oggi gli tsukemono non possono mancare a colazione, di solito a fianco di riso bianco e pesce grigliato, e sono onnipresenti nei bento. Vengono serviti anche come snack, specie quelli salati, per accompagnare birra o sakè negli izakaya (i pub giapponesi). Servono per enfatizzare il sapore di altri alimenti, separare i gusti delle varie pietanze e “pulire” la bocca a fine pasto. Aggiungono anche varietà di colori, consistenze e sapori al pranzo, elementi tutti essenziali nelle logiche giapponesi della tavola.

I più conosciuti

In Italia uno dei più popolari è sicuramente il gari, le fettine di zenzero sott’aceto che si accompagnano al sushi, ma vengono serviti spesso anche tsukemono a base di prodotti locali e di stagione più disparati, non sempre riconoscibili agli occhi dei meno esperti.

Tra questi ci sono cetrioli, daikon (croccante, agrodolce, in Giappone servito con zuppe e piatti dall’intenso sapore umami), renkon (radici di loto), gobo (bardana), rape, carote, fagiolini, cime di rapa, cavolo, myoga (gemme di zenzero), beni shoga, (steli di zenzero), mizuna (foglie di crisantemo giapponese), takenoko (germogli di bambù), zucca, cipollini, funghi, sakura (fiori di ciliegio) e molte altre.

Dove trovarli

In Giappone si trovano ovunque, nei supermercati, ma molti giapponesi li preparano in casa.

In Italia si possono reperire nei negozi specializzati in alimentazione giapponese, online sui siti dedicati come Gourmet Giappone, select store di piccoli produttori giapponesi dove è possibile acquistare anche prodotti poco noti e particolari.

Due metodi di preparazione

Ciò che rende particolari gli tsukemono, regalando loro un gusto unico, è la tecnica di preparazione. Si possono individuare due metodi di base dove la materia prima viene lavorata con ingredienti diversi.

Nei metodi asazuke, semplici e rapidi, si massaggiano le verdure affettate o tritate con sale (shiozuke), oppure con aceto (suzuke), poi si versano in contenitori (ma anche in un sacchetto per alimenti con chiusura a zip) e le si lascia riposare da 30 minuti a poche ore in frigo, a seconda dell’ingrediente scelto e del sapore desiderato.

 

Il metodo nukazuke invece utilizza, nel processo di fermentazione, la crusca di riso. La particolarità è il sapore più aspro e “lievitato” che dona ai vegetali: le verdure vengono coperte con crusca di riso miscelata ad acqua salata e il processo di fermentazione si avvia con i microrganismi presenti in una piccola porzione di crusca già fermentata e mescolata con crusca nuova. Si tratta di un processo lungo e complesso che richiede un continuo mescolamento per mantenere costante la fermentazione e uniformi i sapori.

Esistono anche tsukemono preparati in molti altri modi: con pasta di miso (misozuke), con feccia di saké (kasuzuke), con salsa di soia (shoyuzuke), con mirin (tipo sakè dolce), così come ci sono fermentazioni che partono direttamente da lieviti presenti nel contenitore, come vecchie botti per la lavorazione di saké.

Tsukemono, dal Giappone con sapore - Ultima modifica: 2022-02-01T08:00:14+01:00 da Sabina Tavolieri

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