C’è chi dopo una pizza o un pasto a base di pastasciutta inizia a gonfiarsi oppure viene colto da una strana sonnolenza o dal mal di pancia. Per tanto tempo le persone che riportavano disturbi dopo l’assunzione di alimenti con cereali, ma che non risultavano essere né celiache né allergiche al grano, sono state lasciate in una sorta di limbo. Le diagnosi oscillavano tra sindrome dell’intestino irritabile e possibili componenti psicologiche, tanto che nel 2010 questa condizione venne descritta come una “terra di nessuno”. È solo dal 2014 che si è arrivati alla definizione di una nuova condizione, la sensibilità al glutine non celiaca (NCGS), caratterizzata dalla comparsa di sintomi intestinali ed extraintestinali dopo l’ingestione di glutine, pur in presenza di test negativi per celiachia e allergia al frumento. Questa entità è stata inserita nello spettro delle reazioni avverse al glutine.
Anche se circa il 10% degli adulti nel mondo riporta spontaneamente una sensibilità al glutine o al frumento, meta-analisi suggeriscono che solo il 16-30% di questi individui presenta sintomi scatenati specificamente dal glutine durante test controllati. Questo contribuisce all’incertezza diagnostica, poiché la NCGS rimane oggi una diagnosi di esclusione, senza marcatori di laboratorio validati e con una forte sovrapposizione clinica rispetto alla sindrome dell’intestino irritabile.
Non è sempre colpa del glutine
Una recentissima review, ovvero un’analisi critica e sistematica della letteratura scientifica disponibile su un determinato argomento, pubblicata su The Lancet, propone di ampliare lo sguardo sulla NCGS. La review è stata condotta da un gruppo internazionale di ricercatori - tra i quali va ricordata Carolina Ciacci, docente di Gastroenterologia dell’Università di Salerno - e ha preso in esame studi clinici, meta-analisi e test di provocazione orale. L’obiettivo non era quello di negare la condizione, ma di comprenderne meglio i possibili meccanismi e il peso effettivo del glutine.
I risultati evidenziano che nelle prove controllate solo una parte delle persone reagisce realmente al glutine, mentre un’altra mostra risposte simili nei confronti di placebo o di alimenti privi di glutine ma contenenti carboidrati fermentabili. Come ha affermato in un articolo universitario Jessica Biesiekierski dell’Università di Melbourne, nonché coordinatrice dello studio: “Contrariamente alla credenza popolare, la maggioranza delle persone con NCGS non reagisce al glutine. I nostri risultati mostrano che i sintomi sono più spesso scatenati da carboidrati fermentabili, da altri componenti del frumento o dalle aspettative e precedenti esperienze delle persone con il cibo.”
Secondo la review, test recenti mostrano che le persone con sindrome dell’intestino irritabile che ritengono di essere sensibili al glutine reagiscono in modo simile a glutine, frumento e placebo. Questo dato suggerisce che il modo in cui le persone interpretano e anticipano le sensazioni intestinali possa influenzare l’esperienza sintomatica. Nel complesso, i risultati indicano che la NCGS potrebbe inserirsi all’interno di uno spettro più ampio di condizioni in cui interagiscono intestino e cervello, piuttosto che essere esclusivamente un disturbo legato al glutine.
Questione di FODMAP
Quando si parla di sensibilità al glutine, a prescindere dal termine, bisogna considerare che i fattori scatenanti non includono solo le proteine del glutine ma anche altre proteine del frumento e i FODMAP, carboidrati fermentabili presenti in modo naturale in diversi alimenti. In alcune persone questi composti possono essere fermentati dalla flora intestinale, provocando richiamo di acqua nel colon e formazione di gas, con distensione e dolore addominale, alvo irregolare. I FODMAP sono presenti nei cereali contenenti glutine come grano, orzo e segale, ma anche in latte e derivati, legumi, alcune verdure, frutta molto zuccherina e dolcificanti come miele o polioli.
Nella review vengono citati i FODMAP e l’asse intestino-cervello come ipotesi rilevanti nei meccanismi legati alla comparsa dei sintomi. Con “asse intestino-cervello” si intende la comunicazione bidirezionale tra sistema nervoso centrale e tratto gastrointestinale, mediata da neuroni, ormoni, mediatori immunitari e microbiota. Secondo questo modello, l’organismo può rispondere non solo alla composizione degli alimenti ma anche allo stato emotivo, alle aspettative e alla sensibilità individuale. Da qui l’idea che la NCGS possa rientrare in un gruppo più ampio di disturbi funzionali, in cui giocano un ruolo interazioni complesse tra dieta, microbiota, percezione corporea e risposta allo stress.
Secondo gli autori della review, un percorso efficace dovrebbe prevedere una combinazione di supporto nutrizionale e, quando necessario, interventi psicologici o comportamentali, senza restrizioni alimentari ingiustificate. “Vorremmo vedere un cambiamento nei messaggi di salute pubblica, allontanandosi dalla narrativa secondo cui il glutine è intrinsecamente dannoso, poiché questa ricerca mostra che spesso non è così”, sottolinea Biesiekierski.
Una dieta difficile
Il modello mediterraneo (con o senza glutine) potrebbe rappresentare un compromesso più praticabile, in alternativa ai protocolli low FODMAP che risultano complicati da seguire. Una riflessione ripresa anche in questo studio pilota dedicato alla sindrome dell’intestino irritabile che ha confrontato una dieta mediterranea con una dieta low FODMAP, mostrando risultati incoraggianti per entrambe le strategie. Questo contribuisce a mantenere aperta la discussione sul ruolo delle abitudini alimentari personalizzate e sulla possibilità di percorsi meno restrittivi.





