Di stagione
Cinque cose da sapere sui fichi d’India

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Dalle origini messicane alla diffusione in Sicilia, dalle pale usate come verdura fino ai “bastardoni” autunnali, senza dimenticare fibre, minerali e pigmenti antiossidanti: i fichi d'India sono frutti originali che meritano di essere conosciuti meglio, specie a settembre, quando sono pienamente maturi

Si chiama fico d’India, ma in realtà con l’India non ha nulla a che fare: sarebbe più corretto chiamarlo fico messicano, per le sue origini, o fico siciliano, visto quanto è radicato nel paesaggio e nella cultura dell’isola. A differenza di altri frutti, non si può certo addentare al volo: le spine, minuscole ma fastidiose, obbligano a un minimo di cautela. Per fortuna, quelli confezionati che si trovano in vendita sono già spinati. Ma per non correre rischi è sufficiente infilzarli con una forchetta e poi pelarli e tagliarli con il coltello prima di trasferirli in un piatto. Oppure maneggiarli con i guanti da cucina. In caso non siano stati già spinati dai produttori, i fichi d’India andranno tenuti a bagno in acqua per qualche ora.
In ogni caso, questo piccolo sforzo verrà più che ricompensato dal gusto delizioso della loro polpa, che ne fa un dessert naturale, specie se freddo di frigorifero. Insomma, un frutto di cactus che dietro quell’aspetto ostile possiede molte caratteristiche originali e interessanti. Eccone qualcuna.

  1. Origini lontane
    Il fico d’India (Opuntia ficus-indica) come già detto non c’entra con l’India. È una pianta originaria del Messico e già coltivata dagli Aztechi, che sembra la considerassero un alimento base e un rimedio medicinale. Dopo la scoperta dell’America, arrivò in Europa e si diffuse rapidamente nel Mediterraneo. In Sicilia ha trovato un ambiente ideale e oggi è uno dei simboli più riconoscibili dell’isola, al punto da avere una denominazione di origine protetta: il Ficodindia dell’Etna DOP. La sua diffusione ha avuto anche un impatto paesaggistico: chiunque viaggi nell’entroterra siciliano riconosce subito i versanti punteggiati da queste piante.
  2. Le “pale” non sono foglie
    Le parti verdi e piatte della pianta, che molti chiamano foglie, sono in realtà fusti modificati, detti cladodi o pale. Hanno un ruolo fondamentale per la sopravvivenza della pianta nelle zone aride e per questo sono ricchi di acqua. Non a caso, in alcune regioni vengono utilizzati come foraggio per gli animali nei periodi di siccità. Ma sono anche commestibili per noi: in Messico i nopales si cucinano come verdura, alla griglia o in insalata.
    E per chi fosse interessato alla cosmesi naturale fai da te, segnaliamo questo articolo sugli usi locali (una volta private delle spine, ovviamente) delle pale del fico d'India, dalle quali è possibile ottenere estratti ricchi di sostanze con spiccate attività terapeutiche e cosmetiche.
  3. I “bastardoni” d’autunno
    In Sicilia è diffusa una particolare pratica agricola, la cosiddetta scozzolatura: a inizio estate si eliminano i primi fiori per stimolare la pianta a produrne di nuovi. I frutti che maturano tra fine estate e inizio autunno prendono il nome di “bastardoni”, sono più grandi e più dolci rispetto a quelli estivi.
  4. Valori nutrizionali e semi
    Secondo i dati CREA, 100 g di parte edibile di fico d’India apportano circa 63 kcal, 13 g di carboidrati, 5 g di fibra, 190 mg di potassio, 30 mg di calcio e 18 mg di vitamina C. Non sono quindi frutti particolarmente ricchi di vitamina C, ma si distinguono per l’apporto di fibra e per la presenza di minerali come potassio e calcio. La fibra, sia solubile sia insolubile, contribuisce a regolarizzare l’intestino e a prolungare il senso di sazietà. I semi, numerosi e duri, sono commestibili: sarebbe meglio non deglutirli tal quali ma masticarli un po’ in modo che rilascino piccole quantità di acidi grassi insaturi (omega 6 e omega 3).
  5. Colori e antiossidanti
    I fichi d’India non sono tutti uguali. La polpa può essere gialla, arancione o rosso-violacea, a seconda della varietà. Le differenze cromatiche non sono solo estetiche: i frutti dalle tonalità più intense contengono quantità maggiori di pigmenti naturali come i betalaini, composti con proprietà antiossidanti e antinfiammatorie. Anche se gli studi clinici sull’uomo sono ancora limitati, questi composti contribuiscono al valore nutrizionale del frutto. In cucina, le differenze di colore si traducono anche in leggere variazioni di sapore, offrendo la possibilità di scegliere quello che più si preferisce (o di mangiarli tutti, ovviamente).
Cinque cose da sapere sui fichi d’India - Ultima modifica: 2025-09-22T08:00:32+02:00 da Barbara Asprea
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