Studiare gli animali per scoprire l’uomo


Come ci si comporta con un gatto che arriva dal gattile e che chiede cibo in continuazione? Si cede ai suoi miagolii e lo si accontenta, con tutto quel che avrà passato in quel tristo luogo?

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Come ci si comporta con un gatto che arriva dal gattile e che chiede cibo in continuazione? Si cede ai suoi miagolii e lo si accontenta, con tutto quel che avrà passato in quel tristo luogo. È quanto è successo a Giorgio Celli, il più noto dei nostri etologi, col suo adorato gatto Ciro, che a forza di mangiare è diventato un gattone non più nemmeno in grado di acciambellarsi. Insomma, anche i gatti hanno disturbi alimentari e chissà quante altre cose interessanti si possono scoprire osservando il loro comportamento. Spinti da questa curiosità, siamo andati a trovare il professor Celli nel suo studio di Bologna e abbiamo fatto con lui una lunga chiacchierata su animali, uomini e cibo.

Che ricordi ha lei, nato nel 1935, della sua alimentazione da bambino?

Un ricordo piuttosto sgradevole, perché quando ho iniziato ad avere un rapporto consapevole con il mondo eravamo in piena guerra e ho patito la fame, ma la fame vera. La mia era una famiglia modesta, che non si poteva permettere il mercato nero e quindi dovevamo accontentarci di quanto elargito dalle carte annonarie, che era veramente esiguo. Quando in seguito ai pesanti bombardamenti ci trasferimmo da Bologna a Sasso Marconi, la situazione peggiorò ulteriormente, perché malgrado in campagna ci fosse più disponibilità di cibo, i contadini praticavano un mercato nero ancora più caro di quello della città e andavamo a letto senza cena più spesso che a Bologna. Si aguzzava l’ingegno, ovviamente, cercando di procurarsi del cibo alternativo e gratuito, ma senza grandi risultati, anzi, mettendo a rischio la salute: ad esempio, si usava raccogliere erbe nei campi per cucinarle, ma alcune di esse contenevano alcaloidi, se non mortali quantomeno tossici, che ci causavano problemi intestinali, vertigini, capogiri, lasciandoci in ogni caso affamati.

L’arrivo della pace ha fatto svanire l’incubo della fame?

Certo, il cibo non mancava più, ma per non rischiare di provare ancora la minima sensazione di fame imparai a “mettere le mani avanti” e, assalito praticamente da una sorta di bulimia, diventai un gran mangione e iniziai a ingrassare parecchio. L’apoteosi di questa mia “perversione” fu il giorno della prima comunione quando, addirittura, rischiai di finire in ospedale per un’abboffata pazzesca. Seppur con alti e bassi ho dovuto lottare con l’aumento di peso per tutta la vita. Questo però non ha pregiudicato il mio buon rapporto col cibo perché, di fondo, io sono un epicureo, nel senso più nobile del termine, e apprezzo tutte le sensazioni corporee piacevoli, a iniziare appunto da quelle procurate dalla buon tavola, e sono anche un discreto cuoco. Una volta lasciato il nido familiare e la cucina di mia madre, ottima cuoca, ho dovuto occuparmi personalmente dei fornelli, perché la mia prima moglie, donna colta e affascinante, non aveva per l’appunto nessuna vocazione domestica. Per me i pranzi sono legati soprattutto alla convivialità, sono un rito da condividere con gli altri e questo è un retaggio della mia famiglia.
Il pasto per noi era davvero un momento sacro che catalizzava tutti gli avvenimenti: nessuno, ad esempio, si sarebbe mai sognato di comunicare agli altri qualcosa d’importante prima del pranzo, ma si attendeva di essere tutti a tavola. D’altra parte sia la filosofia sia la religione cristiana sono nate a tavola: basti pensare al Simposio di Platone e all’Ultima cena.

Questo lato conviviale del nutrimento è presente anche negli animali?

In alcuni animali superiori ci sono delle forme di socialità, condivisione del cibo e comportamenti ritualizzati. Ad esempio, quando un branco di scimpanzé uccide una preda, gli individui che non appartengono a quel branco stendono la mano, nel tipico gesto del mendicante, per avere parte del bottino e vengono anche accontentati. I leoni, poi, benché a cacciare siano le femmine, mangiano la preda per primi e anche questo è un rito. La cattività fa cambiare le abitudini agli animali: i gatti, ad esempio, sarebbero creature solitarie, mentre quelli domestici stanno insieme volentieri e condividono il cibo senza litigare, come succede ai miei. E anche questo costituisce una sorta di rito.

Prendendo spunto dal suo gatto bulimico, mi domando se gli animali abbiano disturbi alimentari solo in cattività

In natura gli animali si autoregolano e mangiano secondo le loro necessità, anche qualora ne abbiano in abbondanza, il che non è sempre detto. Gli animali in cattività, invece, mangiano soprattutto per noia, un po’ come succede agli umani, e sta ai padroni regolare la loro alimentazione. Nonostante io sappia tutto questo, ho viziato il mio povero gatto nutrendolo troppo.

E che atteggiamento hanno le madri verso i cuccioli riguardo all’alimentazione? Sono preoccupate come noi umani che il piccolo “non mangi”?

Le mamme sanno benissimo che il loro ruolo dopo l’allattamento è insegnare ai cuccioli a procurarsi il cibo in modo che possano arrangiarsi, tanto che dopo lo svezzamento li scacciano e non hanno più nessuna preoccupazione nei loro confronti. Mamma gatta, ad esempio, procede così: quando allatta ancora i gattini prende un topolino e lo mangia davanti a loro; la seconda volta, quando i gattini sono svezzati, porta un topolino e lo mangia con loro; la terza volta porta loro un topolino vivo e gli insegna a ucciderlo. Questo è molto importante, tanto che i gatti orfani da piccoli sono un po’ nevrotici e non sanno cacciare. L’insegnamento materno è anche fondamentale per imparare a scegliere i cibi, ad esempio le erbe curative.

Pensa che l’uomo continuerà a cibarsi di animali?

Sicuramente non a questi ritmi, perché, a parte la barbarie di ucciderli, è noto ormai da tempo che essere carnivori comporta un consumo insostenibile di risorse ambientali, in primis l’acqua, e possiamo permettercelo solo noi che viviamo nei Paesi più ricchi ma è impensabile estendere il nostro livello di consumi a tutto il pianeta. Chissà, per risolvere il problema della fame, che si presenterà inevitabilmente con l’aumento della popolazione, si potrebbero immaginare colture di batteri, che sono un’ ottima fonte proteica, trasformati in una sorta di hamburger o formaggio grazie all’aggiunta di aromi artificiali che ormai pervadono la nostra alimentazione.

Sono felice che non avrò la fortuna di poter assaggiare la bistecca di batteri. In conclusione, che consiglio vuol dare ai nostri lettori che hanno animali domestici?

Innanzitutto bisogna tenere ben presente che essi sono l’immagine della natura che sta scomparendo: non ci può essere amore per gli altri uomini se non c’è amore per gli animali. Consiglierei innanzitutto di documentarsi un po’ prima di prendere un animale in casa. Io, ad esempio, renderei obbligatorio un patentino per gli aspiranti padroni di cani e consiglierei almeno la lettura di un libro a quelli dei gatti, animali più autonomi e non così dipendenti dall’uomo come i cani. Questo per evitare errori banali ma madornali: ad esempio, se un cane chiamato ripetutamente non risponde alla chiamata e quando finalmente accorre viene battuto, dedurrà di aver fatto male e si guarderà bene di rispondere la volta successiva. Poi consiglierei il cane solo a chi è spesso a casa, mentre il gatto può stare anche buona parte della giornata da solo. A questo proposito, mentre due gatti lasciati soli in casa possono farsi un’ottima compagnia, due cani possono fare branco e diventare pericolosi. Anche se non è detto che un gatto accetti subito un socio: potrebbe invece scatenare un putiferio. Bisogna andare cauti, osservare e portare rispetto, agli animali come ai nostri simili.

Studiare gli animali per scoprire l’uomo - Ultima modifica: 2011-01-26T00:00:00+01:00 da Redazione

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