Le aziende agricole che fra il 2010 e il 2011 sono uscite dal sistema di controllo e certificazione bio sono state più numerose di quelle che sono entrate. Di qui un saldo negativo di 744 aziende a livello nazionale. Ma ci sono state anche regioni nelle quali il saldo è stato positivo, per esempio la Sardegna. Ne parliamo con Luisa Massacci della Cooperativa sociale Poco Poco
Le aziende agricole che fra il 2010 e il 2011 sono uscite dal sistema di controllo e certificazione bio sono state più numerose di quelle che sono entrate. Di qui un saldo negativo di 744 aziende a livello nazionale. Ma ci sono state anche regioni nelle quali il saldo è stato positivo, per esempio la Sardegna, dove nel 2011 c’erano 262 aziende in più rispetto al 2010. Ne parliamo con Luisa Massacci della Cooperativa sociale Poco Poco con sede ad Assemini in provincia di Cagliari. Producono soprattutto ortaggi, frutta e olio e svolgono un’attività d’inserimento lavorativo di persone svantaggiate e di educazione agroambientale per i bambini.
Perché il numero delle aziende in Sardegna è cresciuto?
Difficile dire. Una delle ragioni credo sia perché la Sardegna è indietro di qualche anno rispetto ad altre regioni, nel senso che il bio sta prendendo piede più lentamente e più tardi. Nelle regioni che hanno maturato un’esperienza più lunga, poi, molte aziende, soprattutto le più piccole, hanno fatto l’esperienza delle difficoltà che ci sono a stare sul mercato, i costi sono tali da non essere sempre coperti dai maggiori prezzi che si possono ottenere con il biologico. E questo è uno dei motivi che inducono all’uscita dal biologico.
Ma ci sono stati contributi particolari per l’agricoltura biologica?
Specifici per il biologico direi di no. Il Piano di Sviluppo Rurale, però, prevedeva dei finanziamenti per la ristrutturazione aziendale e c’era un punteggio aggiuntivo per le aziende bio che volevano richiederli. E questo può avere incoraggiato l’ingresso nel sistema di controllo.
A proposito di finanziamenti, fra le arretratezze della nostra regione cui accennavo prima, c’è anche quella delle amministrazioni pubbliche, basti pensare che ci sono ancora 2 milioni di euro disponibili per il biologico ma non ancora utilizzati, con tutto quello che ci sarebbe da fare, per esempio, in attività di formazione degli agricoltori e dei tecnici.
Dunque secondo lei perché queste aziende sono entrate?
I premi dell’Unione europea al biologico non credo abbiano avuto molta influenza, non hanno dimensioni tali da fare la differenza se si considerano anche solo i costi aggiuntivi per la burocrazia. Per fare un esempio, la Regione Sardegna mette a disposizione delle aziende un contributo di 180 € per le spese della certificazione bio, ebbene noi per fare la domanda di questo contributo abbiamo speso 100 €!
Secondo me conta di più la maggiore attenzione per i problemi ambientali. La presenza di aziende biologiche ha poi reso più visibile la differenza con il convenzionale e ha prodotto un effetto contagio fra gli agricoltori, soprattutto fra i più giovani. C’è poi l’aspettativa di trovare condizioni di mercato migliori visto che al biologico viene riconosciuto un sovraprezzo. Ma su questo, come ho detto, l’esperienza di altre regioni mostra che ci possono essere grosse disillusioni.
Una delle vie sperimentata per cercare di evitare delusioni di questo tipo è stata aggregare le aziende, costruire filiere organizzate…
Da noi prevale ancora una mentalità poco propensa alla cooperazione e persiste, non solo nel biologico, un’incapacità di aggregare l’offerta per portarla sul mercato a condizioni più vantaggiose. Questa mentalità ha fatto fallire molte esperienze cooperative. In Sardegna l’unica organizzazione di produttori per l’ortofrutta è Satra Sardinia, a cui aderiamo anche noi. Nel settore latte e formaggio ci sono poche cooperative, forse due. In più, una volta ogni pastore faceva il suo formaggio, mentre ora i vincoli sanitari sono così stretti che quasi nessuno riesce più a farlo. Allora la maggior parte dei pastori vende il latte ai caseifici riducendo così i propri margini di reddito.
Insieme al numero delle aziende è cresciuto anche il consumo di prodotti biologici nell’isola?
Un po’ sta aumentando anche il consumo locale, ma in Sardegna c’è ancora tanta produzione per l’autoconsumo, soprattutto di frutta e verdura. Per lo più i prodotti biologici passano attraverso il canale dei negozi specializzati mentre è limitata la loro presenza nei supermercati. Più diffuse le aziende agricole che fanno vendita diretta e ci sono un certo numero di esperienze di gruppi d’acquisto solidale
Abbiamo già parlato delle Marche e della Puglia