Gli anglosassoni chiamano sweet tooth la naturale attrazione per il sapore dolce. Una preferenza innata che ci accompagna fin dall’infanzia ma che per alcune persone è più forte che in altre. Ma per le note ragioni di salute e linea, esagerare con gli zuccheri non è una pratica consigliabile e allora si cerca di contrastarla riducendo zucchero e altri dolcificanti, con la speranza che il palato si abitui gradualmente a gusti meno dolci. Tuttavia, nonostante la buona volontà è molto difficile che la voglia di dolce si riduca nel tempo. O almeno così afferma una interessante ricerca condotta dalla Wageningen University & Research (Paesi Bassi) secondo la quale la preferenza per il dolce rimane sorprendentemente stabile, indipendentemente da quanto zucchero si elimini o si aggiunga alla dieta.
Cinque gradi di dolcezza
I risultati della ricerca sono stati presentati a giugno all’ultimo congresso dell’American Society for Nutrition che si è tenuto in Florida, ad Orlando. Lo studio, condotto con grande rigore metodologico, ha coinvolto 180 adulti divisi casualmente in tre gruppi. Per sei mesi, metà dei pasti quotidiani di ciascun partecipante è stata fornita direttamente a domicilio. Il primo gruppo riceveva cibi e bevande molto dolci, il secondo riceveva alimenti con una dolcezza ridottissima e il terzo un mix intermedio. I prodotti includevano yogurt naturali o alla frutta, creme spalmabili salate o dolcificate, snack come torte e biscotti, e bibite zuccherate.
Prima, durante e dopo i sei mesi, ogni volontario ha preso parte a test sensoriali su alimenti come torta, crema e limonata, preparati in cinque diversi livelli di dolcezza, dal quasi neutro all’estremamente dolce. Dovevano indicare quanto gradivano ciascun prodotto e quanto lo percepivano dolce. Parallelamente sono stati registrati peso, apporto calorico, composizione corporea e parametri clinici legati a diabete e malattie cardiovascolari (come glicemia e livelli di insulina e colesterolo).
Va detto che i partecipanti non conoscevano l’obiettivo dello studio e quindi non sono stati influenzati nelle loro risposte. Hanno compilato diari alimentari, ricevuto indicazioni precise sui menu, avuto contatti regolari con dietisti e fornito campioni biologici per confermare il consumo dei prodotti distribuiti. Tutto questo ha permesso ai ricercatori di controllare in modo accurato l’aderenza alla dieta.
I risultati principali
L’ipotesi di partenza dei ricercatori era semplice: ridurre l’esposizione al dolce avrebbe portato a desiderarlo meno, mentre aumentarne la presenza nella dieta avrebbe reso le persone più attratte da questo sapore. I dati hanno smentito entrambe le previsioni. Le preferenze sensoriali per il dolce non sono cambiate in modo significativo in nessuno dei tre gruppi. Allo stesso modo, non sono state osservate differenze nell’apporto calorico complessivo, nel peso corporeo o nei marker clinici monitorati.
Anche dopo la fine dello studio, al primo e al quarto mese di follow-up, i partecipanti sono tornati spontaneamente al loro livello abituale di consumo di cibi dolci. In altre parole, la dolcezza resta un punto fermo del gusto, poco influenzabile dai tentativi individuali di privazione o esposizione eccessiva.
Non bisogna arrendersi
Secondo gli autori, l’idea di resettare il palato, riducendo lo zucchero non può essere considerata una strategia efficace. “La nostra preferenza per il dolce è più radicata di quanto pensassimo” ha spiegato Monica Mars, un’autrice dello studio. Questo non significa che sia inutile limitare gli zuccheri ma che la voglia di dolce non svanirà con la sola forza di volontà, né con interventi dietetici a breve o medio termine.
In altre parole, ognuno deve trovare un suo modo per restare in equilibrio tra desiderio di dolce e un’alimentazione bilanciata. Da una parte imparando ad apprezzare la naturale dolcezza della frutta e di tanti alimenti vegetali e dall’altra concedendosi delle piccole gratificazioni, come un pezzetto di cioccolato o un pasticcino che, all’interno di una giornata alimentare equilibrata, possono entrare senza problemi. Perché in nutrizione, lo sappiamo, è sempre una questione di quantità…





