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Riso, a ciascun piatto il suo

riso

Quale riso per fare un buon risotto? E una minestra? O il tanto di moda sushi? La dottoressa Cinzia Simonelli, responsabile del laboratorio di analisi dell’Ente Nazionale Risi, ci aiuta a capire come scegliere il prodotto giusto per ottenere il miglior risultato in cucina

Prima di scendere in dettagli culinari, è necessario fare il punto sulla classificazione del riso, in modo da capire meglio perché alcune varietà sono consigliate per determinati piatti e altre meno.

“Il riso viene classificato in base alla lunghezza e al rapporto tra questa dimensione e la larghezza del chicco. Sono così identificate quattro categorie: risi tondi o Originari, medi, lunghi A e lunghi B. Ovviamente i primi sono piccoli e più larghi e, man mano che ci si sposta verso le altre categorie, diventano più lunghi e affusolati”, spiega Cinzia Simonelli, responsabile del laboratorio di analisi dell’Ente Nazionale Risi.

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Tra le diverse varietà di riso italiano, quelle riconosciute come appartenenti alla tradizione sono: Arborio, Roma, Carnaroli, Ribe, Vialone nano, S. Andrea.

Se volete essere sicuri che nella confezione che state acquistando sia contenuta quella ben specifica varietà e non altre, anche se dotate delle stesse caratteristiche morfologiche e culinarie, dovete accertarvi che sia presente la denominazione “classico”, altrimenti si parla di varietà tradizionali. In questo caso, nel pacchetto con la scritta Carnaroli, potrebbero esserci risi differenti, come Caravaggio, Carnaval, Carnise e altri ancora, mai in miscela tra loro.

Il miglior risotto

Si dice che il riso migliore per fare il risotto sia il Carnaroli, in realtà anche altre tipologie possono dire la loro.

“Fondamentale per la buona riuscita di questo piatto è scegliere un riso bello grande, come quelli appartenenti alla categoria dei lunghi A, che presentano un livello medio di amilosio, la componente lineare dell’amido. Questi garantiscono una buona tenuta in cottura e, nella parte finale della preparazione, rilasciano un po’ di amido, che ottimizza la fase di mantecatura del risotto”, continua Simonelli.

È importante anche che sia presente la tipica perla biancastra nel granello, una zona del chicco che riesce ad assorbire molto bene i condimenti.

Tenendo presente tutti questi fattori, le varietà più consigliate per la preparazione del risotto sono, oltre al Carnaroli, anche Arborio, Roma, Baldo o S. Andrea. Lasciamo al vostro gusto personale la scelta del prodotto migliore.

Un piccolo trucco per ottenere un buon risotto? “Oltre alla scelta di materie prime di qualità”, spiega Simonelli, “prestate particolare attenzione alla fase della tostatura. È importante scaldare il riso in padella a fuoco medio per 3-4 minuti, mescolando continuamente, fino a notare che i chicchi assumono un aspetto traslucido. Questo permette loro di saldarsi, evitando così che si rompano o si disfino durante l’aggiunta del brodo caldo in cottura.

Per zuppe e dolci

“Per queste due tipologie di piatti, meglio scegliere varietà che cuociono rapidamente, rilasciano amido e diventano morbide a fine cottura. Ideali sono i risi con i chicchi tondi, come quelli del gruppo Originario”, precisa Simonelli.

Timballi, sartù e anche come ripieno

La caratteristica fondamentale che deve avere il riso per adattarsi a queste ricette è la capacità di assorbire molto bene i condimenti. Perfette sono le varietà come il Roma e il Ribe.

Sushi faidate

Ingrediente fondamentale di queste preparazioni della cucina giapponese è il riso. “Parametri come la fessurazione o il candore del chicco sono importanti sia per l’impatto visivo che per la buona riuscita del piatto. Infatti, troppe fessurazioni portano alla rottura del granello in cottura con conseguente fuoriuscita dell’amido. La perla, la macchia bianca all’interno del chicco, molto apprezzata per i risotti, in questo caso è considerata negativa”, spiega Simonelli.

La varietà di riso giapponese Koshihikari è ideale per il sushi ma, se si vuole rimanere su varietà nostrane, si può optare per l’Originario e il Selenio oppure per risi specifici, come Yume e Mirai, selezionati appositamente e coltivati nel nostro territorio.

E il paraboiled?

Il riso paraboiled ha subito una sorta di precottura che gli conferisce una particolare tenuta in cottura, rimane facilmente al dente, molto apprezzata soprattutto nelle mense. Cuoce anche rapidamente, altro fattore che ne aumenta la diffusione.

È ricco di sostanze nutritive in quanto, durante il processo di parboilizzazione, grassi e proteine migrano all’interno del chicco e vengono quindi dispersi meno facilmente nella fase di preparazione.

La varietà Ribe si presta molto bene a questo processo.

Il riso parboiled è sfruttato soprattutto per preparare insalate e negli attualissimi poke.

Integrale, un vero superfood

Il riso integrale viene sottoposto solo al processo di sbramatura e quindi il pericarpo, la parte del chicco colorata di marrone, rimane intatta. Il prodotto risulta così più nutriente e ricco di fibre. “Se il pericarpo, normalmente bruno, è naturalmente colorato di nero o rosso, è anche ricco di antociani e flavonoidi, composti antiossidanti e antinfiammatori”, spiega Simonelli.

I tempi di cottura dell’integrale sono piuttosto lunghi, oltre 40 minuti. Questo può essere un inconveniente ma, con un po’ di organizzazione, è un riso ottimo per fare da contorno a piatti di carne, pesce o verdure.

Interessante anche la possibilità di cuocere il riso integrale in acqua e poi passarlo in padella seguendo i classici passaggi del risotto. Aggiungendo una componente cremosa alla fine, come uno zola, si otterrà un effetto cromatico particolare, soprattutto nel caso dei risi rossi e neri, e un piatto con caratteristiche sensoriali e aromatiche davvero gradevoli. Provare per credere!

 

 

 

 

Riso, a ciascun piatto il suo - Ultima modifica: 2021-09-28T08:35:51+02:00 da Sabina Tavolieri

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