Gusto e olfatto
La mappa del sapore

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Quando portiamo alla bocca un alimento avvertiamo subito il suo distintivo sapore e lo associamo istintivamente al suo gusto. In realtà, la percezione del sapore è un processo complesso che coinvolge tutti i sensi e le emozioni più profonde. Ne parliamo con la dottoressa Mara Ramploud, esperta nella riabilitazione del gusto e dell’olfatto in pazienti con deficit sensoriale

La percezione dei sapori è un meccanismo molto articolato che coinvolge in primis lingua, palato e sistema nervoso, ma necessita della partecipazione anche di tutti gli altri sensi. Oggi abbiamo a disposizione una moltitudine di alimenti dai gusti molto intensi a causa dell’abbondante utilizzo di zuccheri e di aromi, che abituano il nostro palato a una stimolazione elevata, togliendoci però il piacere di apprezzare sapori più naturali. Rieducare il gusto è possibile: richiede tempo, attenzione e regole precise. Per avere un quadro completo, partiamo dall’inizio e scopriamo insieme come il nostro corpo è in grado di percepire i sapori.

Un complesso gioco di squadra

Con il termine gusto si indica quella sensazione che viene percepita dalla bocca con il naso perfettamente tappato (isolando quindi la componente aromatica-olfattiva). I gusti che possiamo avvertire sono: dolce, salato, amaro, acido, grasso, sapido o umami, una parola che deriva dal giapponese “umai” e significa delizioso. Il gusto grasso è una new entry: i ricercatori dell’Università Deakin di Melbourne hanno recentemente scoperto il recettore CD36 per il gusto grasso e stanno studiando l’interazione tra percezioni gustative e comportamento nei pazienti obesi per valutare possibili strategie terapeutiche. I recettori del gusto si trovano all’apice di cellule gustative organizzate in gemme o bottoni distribuiti nelle papille della lingua e del palato molle. Ogni gemma gustativa contiene da 50 a 150 cellule epiteliali specializzate, con microvilli che ospitano i recettori gustativi. Queste cellule si rigenerano ogni 10-14 giorni. La teoria del 1916 dello psicologo austriaco Hennings, che mappava zone di sensibilità gustativa sulla lingua, è stata smentita: ogni zona della lingua risponde a tutti i gusti, anche se con diversa sensibilità. Una percezione completa deriva quindi dall’integrazione di un segnale che arriva da una moltitudine di cellule diverse. Il secondo step consiste nel trasmettere il messaggio dalla bocca al cervello: i recettori chimici inviano segnali bioelettrici al cervello attraverso il nervo facciale, glossofaringeo, vago e trigemino. Questi segnali raggiungono il Nocciolo del Tratto Solitario (NTS) - una struttura del tronco encefalico - e da qui si diramano verso tre vie principali: ipotalamo-ipofisi che valuta il segnale come buono o cattivo (inconscio); sistema limbico (amigdala-ippocampo) che memorizza e riconosce il segnale (memoria); e il talamo che invia il segnale alla corteccia orbito frontale (coscienza) mediando la risposta emozionale.

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Il ruolo degli altri sensi

Per creare l’esperienza complessiva del sapore, l’altro senso fondamentale è l’olfatto. Quando assaggiamo un alimento i recettori olfattivi captano le molecole volatili rilasciate, inviando segnali al cervello che integra queste informazioni con quelle provenienti dalle papille gustative. Questo meccanismo multisensoriale è ciò che ci permette di distinguere un cibo dall’altro in modo molto raffinato. Per capirci, senza l’olfatto, molti sapori si ridurrebbero a semplici note di base, come dolce o salato. Anche l’udito gioca un ruolo interessante: il classico esempio delle patatine mostra come il suono influenzi la percezione di freschezza. Diverse ricerche dimostrano infatti che più forte e “croccante” è il rumore prodotto quando mordiamo una patatina, più questa ci sembra fresca e di qualità. Il tatto, invece, interviene attraverso la consistenza e il contatto fisico con il cibo. Pensiamo a come una mousse cremosa o un vino servito in un bicchiere dalle linee morbide ci appaiano più piacevoli. Perfino la superficie e il colore dei piatti può influenzare la percezione: una tazzina liscia rende il caffè più dolce così come una mousse servita su un piatto bianco rispetto a uno nero. E ancora, il caffè appare più dolce se bevuto da una tazzina rosa/gialla o con una superficie liscia e la dolcezza di un dessert aumenta ascoltando una musica di sottofondo soave. Ma le nuove scoperte della gastrofisica, la disciplina che studia queste interazioni, non finiscono qui. Il cibo servito su piatti rossi viene consumato meno rispetto allo stesso cibo servito su piatti bianchi o blu. Un vino è percepito come più pregiato se contenuto in una bottiglia pesante e bicchieri dalla forma tondeggiante amplificano il piacere di degustare il vino, grazie a fattori psicologici più che chimici. Mentre le note musicali basse intensificano la percezione della corposità del vino. Tutto ciò evidenzia come sia possibile influenzare la percezione del gusto sfruttando tutti gli altri sensi (vista, udito, tatto e olfatto). Si potrebbe arrivare, ad esempio, a ridurre il contenuto di zuccheri negli alimenti senza alterare la dolcezza percepita, offrendo un approccio innovativo per contrastare problemi importanti come obesità e diabete.

Preferisco il dolce...

L’attrazione o la repulsione verso alcuni gusti è data sia da predisposizioni innate che da condizionamenti culturali, sociali ed emotivi. Da un lato, siamo biologicamente programmati per preferire alcuni sapori: il dolce, per esempio, è legato a fonti d’energia come gli zuccheri, mentre l’amaro può indicare la presenza di sostanze potenzialmente tossiche, portandoci a evitarlo istintivamente. Questi meccanismi sono radicati nella nostra evoluzione e hanno contribuito alla sopravvivenza della specie. Dall’altro lato, però, le esperienze personali, il contesto culturale e le emozioni giocano un ruolo cruciale nel modellare le nostre preferenze alimentari. Fin dalla nascita, il cibo è associato a momenti di conforto e relazione: il latte materno, ad esempio, è il primo contatto con il gusto dolce, ma è anche una fonte di calore e sicurezza. Crescendo, le emozioni si intrecciano sempre di più con ciò che mangiamo. Un cibo può diventare attraente perché legato a un ricordo felice o a una tradizione familiare, mentre un’esperienza negativa può generare un’avversione verso certi sapori o consistenze. Anche i condizionamenti culturali sono determinanti: ciò che è considerato un piacere in una cultura può essere rifiutato in un’altra.

Verso sapori più naturali

Oggi, più che mai, ci troviamo di fronte a una moltitudine di cibi con sapori molto alterati rispetto a quelli originali, tanto che spesso percepiamo come insipidi o poco appetitosi piatti cucinati in modo semplice. Gli alimenti industriali e ultra-processati spesso sovra stimolano le nostre papille gustative con dolcezza, sapidità e aromi artificiali, alterando la percezione naturale del gusto e dell’olfatto. Rieducare il palato ai sapori autentici degli alimenti è un percorso di consapevolezza e di graduale riadattamento: richiede pazienza ma è possibile. Il primo passo è ridurre progressivamente il consumo di alimenti fortemente processati, optando per quelli con meno zuccheri, sale e aromi aggiunti. Parallelamente, è importante riscoprire alimenti semplici ma ricchi di sfumature gustative più di quanto pensiamo: verdure fresche, cereali integrali, frutta di stagione. Un altro aspetto rilevante è dedicare tempo alla degustazione: mangiare lentamente e in modo consapevole, concentrandosi sulle sensazioni gustative, olfattive e tattili, aiuta a riconoscere e apprezzare meglio i sapori autentici. È fondamentale fare attenzione al qui e ora. Anche il contesto emotivo e culturale ha un ruolo: cucinare in casa, magari utilizzando ingredienti di qualità e tecniche tradizionali, crea un legame più profondo con il cibo. Questo favorisce un apprezzamento autentico e ci allontana dalla ricerca di sapori intensi e artificiali. Infine, è importante rieducare la mente oltre che il palato. Il nostro gusto è fortemente influenzato da aspettative e abitudini, spesso costruite dai messaggi del marketing. Essere consapevoli di ciò che consumiamo, leggendo le etichette e scegliendo prodotti con pochi ingredienti e di origine chiara, è un atto di politica positiva verso i condizionamenti alimentari. Ritrovare i sapori autentici non è solo un piacere per il palato, ma anche un investimento sulla nostra salute e sul rispetto per la natura. Lavorare su consapevolezza e curiosità è la chiave per rispettare sé stessi e rieducare il gusto.

Come disintossicarsi dai sapori artificiali?

  • Ridurre l’uso di alimenti che contengono aromi.
  • Cucinare di più in casa.
  • Ridurre l’utilizzo di sale e zucchero a favore di altri insaporitori (spezie, frutta secca, semi oleosi…).
  • Esplorare diverse varietà di cibi freschi.
  • Introdurre alimenti fermentati e integrali che hanno sapori complessi.
  • Concedersi pasti leggeri e ricchi di alimenti poco manipolati.
  • Mangiare con calma, in un clima sereno, e assaporare bene ogni alimento.

Articolo a cura di: Mara Ramploud. Medico, Specializzata in Scienze dell'Alimentazione e Pneumologia, e co-fondatrice di Neurochimica. Si occupa di fisiopatologia della nutrizione e disturbi da adattamento disfunzionale. È formatrice Slow Food per "Cibo e Benessere" e partecipa a numerosi congressi e corsi come relatrice e formatrice su questi temi.

 

La mappa del sapore - Ultima modifica: 2025-05-19T07:49:45+02:00 da Redazione

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