Gli anti-nutrienti sono sostanze naturali presenti in alcuni alimenti che, se consumate in grandi quantità, possono interferire con l’assorbimento di nutrienti essenziali, come proteine, vitamine e minerali. Tuttavia, è importante sottolineare che, nelle normali dosi di consumo, raramente causano problemi di carenze e, anzi, possono avere effetti positivi sulla salute. Con alcuni semplici accorgimenti nella preparazione degli alimenti è possibile ridurre il rischio di effetti indesiderati e ottenere il massimo dai cibi che mangiamo. Cominciamo dalle lectine.
Lectine: la cottura le neutralizza
Le lectine sono glicoproteine presenti in molti alimenti, sia di origine animale che vegetale, e sono particolarmente abbondanti nei legumi, seguiti dai cereali integrali. Questo gruppo di molecole è molto eterogeneo: la maggior parte delle lectine è innocua e persino benefica, mentre altre, come la ricina dell’olio di ricino, sono tossiche anche a dosi molto basse. È importante fare una distinzione: il fatto che alcune lectine siano tossiche non giustifica il rifiuto di tutti gli alimenti che le contengono. Infatti, molte di queste sostanze hanno effetti positivi sulla salute: alcune possono aiutare a controllare i trigliceridi e il colesterolo, altre sono immunostimolanti, e molte sono oggetto di ricerche per il loro potenziale ruolo anticancro. Alcune lectine, come le emoagglutinine, si legano alla membrana dei globuli rossi, ed è proprio questa proprietà che viene utilizzata nei laboratori per determinare il gruppo sanguigno. Tuttavia, questo effetto si verifica solo quando le lectine sono aggiunte direttamente al sangue in laboratorio, non durante la digestione. Non sono mai stati documentati casi di emoagglutinazione a seguito del consumo di alimenti contenenti lectine. Le lectine presenti in legumi e cereali integrali sono accusate di legarsi agli enterociti, le cellule epiteliali dell’intestino tenue, interferendo con l’assorbimento di nutrienti come le proteine e causando possibili infiammazioni. Questo effetto si verifica solo con dosi molto elevate, difficilmente raggiungibili con una dieta normale. L’unica preoccupazione fondata riguarda le quantità elevate di lectine nei legumi, che possono interferire con l’assorbimento di alcuni minerali e, a dosi ancora maggiori, causare disturbi gastrointestinali come dolori addominali, nausea, vomito o diarrea. Tuttavia, esiste un solo alimento che contiene quantità sufficienti di lectine per causare sintomi nell’uomo: i fagioli rossi Red Kidney.
La soluzione
Le lectine sono termolabili, cioè vengono distrutte dal calore. Pertanto, tutte le preparazioni che prevedono la cottura di legumi e cereali sono già sufficienti per ridurre il loro contenuto a livelli trascurabili, se non addirittura benefici. Ad esempio, se i fagioli rossi vengono bolliti anche solo per dieci minuti, la concentrazione di lectine diminuisce di oltre 200 volte. Oltre alla cottura, anche l’ammollo, la germinazione e la fermentazione abbassano drasticamente il contenuto di lectine negli alimenti. Ad esempio, i fagioli di soia per ottenere il tempeh si fanno prima germinare, poi cuocere e infine fermentare: così il contenuto di lectine viene completamente azzerato.
Saponine: via quella schiuma!
Le saponine sono un gruppo di pesticidi naturali prodotti da alcune piante a scopo difensivo, come spinaci, asparagi, aglio, cipolla e cereali integrali. Il loro nome deriva dalla capacità di creare schiuma in ambiente acquoso: è infatti grazie alle saponine che si forma la schiuma quando si mettono in ammollo i legumi secchi o si risciacquano quelli in scatola. Come le lectine, anche le saponine comprendono una varietà di composti: alcune, come la solanina nelle patate verdi o germogliate, sono effettivamente tossiche per l’uomo e possono causare danni alle membrane cellulari, dolori addominali e diarrea. Molte altre sono completamente innocue e, anzi, hanno effetti positivi sulla salute, come un’azione anti-infiammatoria, immunostimolante e anti-microbica. Alcune saponine possono causare emolisi, ossia la distruzione dei globuli rossi, se iniettate direttamente nel sangue, ma questo effetto non si verifica con il consumo di alimenti. Allo stesso modo, alcune saponine possono aumentare la permeabilità intestinale, ma solo se applicate direttamente sulla mucosa intestinale, non dopo essere state sottoposte al processo digestivo. Pertanto, i potenziali effetti negativi come l’emolisi o l’aumento della permeabilità intestinale non riguardano le saponine assunte attraverso gli alimenti. L’unico effetto anti-nutrizionale che le saponine potrebbero avere è interferire con l’assorbimento di alcuni nutrienti, in particolare ferro, zinco e proteine.
La soluzione
Il metodo principale per ridurre drasticamente la quantità di saponine, consiste nell’ammollo e nel risciacquo degli alimenti che ne contengono quantità consistenti, cambiando l’acqua almeno un paio di volte. È importante sottolinerare che la cottura, in questo caso, non ha alcun effetto sulla loro concentrazione. Anche se la completa eliminazione delle saponine non è possibile, è bene ricordare che svolgono anche attività utili: quelle contenute nella soia, ad esempio, promuovono l’escrezione di colesterolo abbassandone i livelli nel sangue.
Ossalati: meno calcio per le nostre ossa?
Alcune verdure, come gli spinaci, il crescione, il rabarbaro, le foglie di barbabietola, di amaranto e di taro sono ricche di acido ossalico, un acido organico resistente alla cottura che lega il calcio limitandone l’assorbimento.
La soluzione
Anche in questo caso, l’alleato principale è la regolarità. L’assorbimento intestinale di calcio è molto adattabile e, consumando abitualmente alimenti contenenti acido ossalico, il passaggio di questo minerale nel sangue non viene significativamente compromesso. Inoltre, i cristalli di acido ossalico sono idrosolubili, quindi per ridurne la quantità possiamo bollire le verdure ricche di acido ossalico in abbondante acqua, eliminando poi l’acqua di cottura. Se invece consumiamo queste verdure crude o le cuociamo al forno o a vapore, possiamo lasciarle in ammollo prima della cottura.
Fitati: sequestrano minerali ma anche tossine
L’acido fitico è una molecola presente soprattutto nella crusca dei cereali integrali e in generale negli strati più esterni dei semi di tutte le piante, inclusi legumi e semi oleosi. La sua attività anti-nutrizionale consiste nel chelare, cioè legare a sé, alcuni minerali, in particolare rame, zinco e ferro con i quali forma complessi insolubili riducendone fortemente l’assorbimento. Inoltre, l’acido fitico può inibire alcuni enzimi digestivi, rallentando l’assorbimento di zuccheri o proteine. Come sempre c’è anche l’altra faccia della medaglia: questi composti sono molto studiati per il loro potenziale protettivo nei confronti delle malattie tumorali proprio per la capacità chelante che, al pari dei minerali, esercitano anche su sostanze tossiche e radioattive. Inoltre, il rallentamento dell’assorbimento degli zuccheri è un fattore positivo per la prevenzione del diabete alimentare, in quanto aiuta ad attenuare i picchi glicemici e d’insulina.
La soluzione
La presenza di acido fitico in legumi e cereali integrali non dovrebbe suscitare particolari preoccupazioni, soprattutto se questi alimenti vengono consumati regolarmente. Il nostro organismo infatti ha una straordinaria capacità di adattarsi e ottimizzare l’assorbimento dei minerali. Sebbene l’acido fitico sia piuttosto stabile alla cottura, tecniche come l’ammollo, la germinazione e la fermentazione di cereali e legumi ne riducono significativamente il contenuto. Ciò avviene perché questi processi attivano un gruppo di enzimi, le fitasi, che frammentano l’acido fitico liberando i minerali ad esso legati. Nel caso del pane integrale, l’uso del lievito madre è particolarmente efficace per ridurre l’acido fitico. Questo accade non solo grazie alla fermentazione più lunga ma anche perché i batteri lattici presenti nel lievito madre producono acidi organici che, acidificando l’impasto, favoriscono un’azione ancora più intensa delle fitasi. Inoltre, la vitamina C è un nemico naturale dell’acido fitico: basta aggiungere un po’ di limone all’acqua che si beve durante i pasti per neutralizzare completamente il suo effetto.
Avidina: attenzione agli albumi crudi
Gli albumi delle uova crude contengono una sostanza anti-nutrizionale chiamato avidina che si lega nel tratto intestinale a una vitamina del gruppo B (la biotina) impedendone l’assorbimento.
La soluzione
L’avidina è contenuta nell’albume: consumando solo tuorlo crudo, come nel caso di uno zabaione, il problema non si pone. In un tiramisù con albume crudo montato a neve, invece sì. Il consumo occasionale non pone comunque alcun problema, ma il consumo sistematico di uova crude può portare a una carenza di questa vitamina. Per fortuna l’avidina è molto termolabile: se l’uovo viene fatto bollire anche solo un minuto, per quanto l’albume resti completamente trasparente, l’avidina sarà completamente inattivata.
Tannini: qualche consiglio per i caffè addicted (e non solo!)
I tannini sono un gruppo di molecole di grosse dimensioni che si formano dalla condensazione dei polifenoli soprattutto durante la fermentazione o la tostatura di tè nero, cacao, vino rosso e caffè, ai quali conferiscono note astringenti. Ad alte dosi possono interferire con l’assorbimento dei minerali, in particolare il manganese e il ferro.
La soluzione
I forti consumatori di tè nero o caffè dovrebbero astenersi dal berli durante o a ridosso dei pasti. Il tè verde non contiene tannini ma catechine che non hanno alcun effetto anti-nutrizionale, anzi sono straordinari antiossidanti. Quanto al vino rosso, a prescindere dal contenuto in tannini, va limitato a un bicchiere a pasto per via del suo tasso alcolico.
Stefano Vendrame: biologo nutrizionista. Insegna all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e si occupa di divulgazione scientifica. Ha recentemente pubblicato il libro “Trappole Alimentari: cosa è andato storto nella nostra dieta e come rimediare” (Longanesi).




