Se fino a qualche anno fa lo sgombro in scatola era un po’ relegato sui banchi di vendita, sovrastato da altre conserve di pesce, ora ha finalmente lo spazio che si merita: ha infatti molte frecce al suo arco. E non è nemmeno a rischio di mercurio come il tonno, di cui si rivela così un temibile concorrente a tavola – aiutandolo anche a nuotare tranquillo, visto che ormai rischia di scomparire.
Prua puntata sullo sgombro
Come sempre, la cartina tornasole è l’etichetta. In questo caso gli ingredienti sono pochi: sgombro, olio (o acqua), sale. Quanto al protagonista assoluto, in conserva ne finiscono due tipi, non sempre specificati in etichetta. Uno è lo sgombro o maccarello, presente anche nel Mediterraneo (Scomber scombrus); proviene soprattutto da Portogallo e Marocco, ma anche dall’Italia. L’altro è l’occhione o lanzardo (Scomber japonicus colias), piuttosto diffuso anche nel Mare Nostrum; è meno pregiato ma di certo non da scartare. Per esaltarne il sapore viene spesso grigliato piuttosto che cotto al vapore.
Come si capisce guardando il peso sgocciolato, indicato dalla maggior parte dei produttori, la proporzione di pesce è variabile: si va solitamente dal 65 all’85%. Meglio se ce n’è di più! Per il resto, abbiamo dunque olio o acqua. Il primo è talvolta di girasole, più spesso di oliva. Entrambi raffinati, quindi; non mancano però pesci in olio extravergine di oliva, anche biologico (marchio che però non può riguardare il pescato).
Qualcuno propende per l’olio raffinato, che poi elimina. Ma è uno spreco alimentare ed economico; intanto l’olio può entrare in parte nel filetto se la carne non è compatta, ma in più rischiamo di buttare via un po’ di omega 3: essendo liposolubili, si disperdono nei grassi. Meglio quindi l’extravergine; certo può risultare troppo per una persona sola, ma per due si possono magari mescolare una scatoletta con olio e una con acqua.
La variante al naturale è paragonabile all’altra quanto a valore nutrizionale del pesce; è però un po’ più asciutta e ha un minor apporto calorico e lipidico. È preferibile quando non si vuole esagerare con l’olio.
Infine eccoci al sale, spesso il punto dolente di questa conserva. Guardando l’etichetta nutrizionale si scopre infatti che, al netto dello sgocciolamento, il sale può arrivare all’1,2-1,7%.
Tipi aromatizzati
L’elenco degli ingredienti si amplia di poco; di solito si aggiungono succo di limone, peperoncino, chiodo di garofano, olive o alloro. Finché non ci sono conservanti, aromi naturali e dolcificanti va tutto bene!
Omega 3, i grassi essenziali
Appartenente alla schiera dei pesci azzurri, lo sgombro è considerato “povero”. Ma è ricco di nutrienti: la vitamina D, alleata delle ossa; la A, utile per gli occhi; la B 12, fondamentale per i sistemi nervoso e circolatorio. Ci sono poi proteine ben assimilabili in buoni dosaggi e, soprattutto, i grassi buoni: gli omega 3, essenziali per il sistema nervoso, la protezione visiva, la prevenzione delle malattie cardiovascolari. Confrontando le etichette, si scopre che la quantità di lipidi è variabile. Dipende dalla lavorazione: questi grassi si trovano infatti sotto la pelle; più parte viene scartata, meno grassi ci sono. Quindi occhio all’etichetta!
Le verifiche
- Quantità di grassi calcolati sul peso netto; meglio se è indicata la percentuale di omega 3
- Quantità di sale
- Presenza di oli raffinati (preferire extravergine o acqua)
- Tipologia di sgombro
- Logo della pesca sostenibile (di solito MSC, Marine Steward Council, del WWF, o Friend of the Sea, di Greenpeace)
- Lavorazione sul luogo di pesca
Vetro o metallo?
Entrambi ottime scelte, essendo materiali riciclabili. Il primo ha il vantaggio di mostrare il contenuto. Si può verificare che il filetto sia intero e mostri una bella tinta rosata, come dovrebbe, e che quello grigliato non sia bruciacchiato – come non dovrebbe. Ma pure nella scatoletta si trovano buoni filetti, per di più protetti dalla luce.