Grana e parmigiano, certamente, ma anche pecorino, emmentaler, ricotta salata, perfino mozzarella e provolone. Un assortimento che soddisfa ogni gusto e ogni esigenza culinaria. Infatti, questi formaggi non si accontentano di essere semplicemente cosparsi sulla pasta. A seconda dei tipi, possono arricchire un impasto, dar vita a una cacio e pepe in tempo record, farcire le lasagne o una torta salata (ideali in questo caso i mix del tipo “filante”).
Ma come sono preparati? Semplicemente, il formaggio viene grattugiato e confezionato immediatamente in atmosfera modificata, in una busta di plastica (da buttare alla fine nel raccoglitore apposito) che lo protegge da aria e umidità, e quindi dall’ossidazione, dalla formazione di muffe e dalla perdita delle qualità organolettiche. Si conserva sempre in frigo (mai interrompere la catena del freddo!) per vari mesi se chiuso, altrimenti per qualche giorno.
Se di qualità, è di colore omogeneo, segno che non prevale la crosta. Questa giustamente non viene buttata, ma ripulita e grattugiata con il resto sia perché dà sapore, sia perché contribuisce a equilibrare la maggiore umidità della parte centrale. Il disciplinare dei formaggi Dop ne prevede un contenuto massimo del 18%.
Anche l’aspetto del formaggio grattugiato deve essere uniforme, non polverulento né sfilacciato. Profumo e sapore, ovviamente, devono essere quelli tipici.
Quale latte?
Ma è tutto italiano il latte usato per i formaggi? Indubbiamente sì, se si tratta di Dop o se indicato chiaramente in etichetta. Altrimenti non si sa, ma non è detto che venga violata la legge o che il prodotto di provenienza estera sia di cattiva qualità. Per esempio, in una busta con emmentaler grattugiato non ci si lamenterà della presenza di latte svizzero!
Il latte di partenza è comunque certamente importante per un prodotto di qualità; può essere anche biologico e/o di montagna.
Le caratteristiche nutrizionali dei formaggi (come percentuale di proteine, sale e grassi) corrispondono a quelle dei formaggi originali. Quelli più freschi risulteranno più umidi e ricchi di lattosio.
Il caglio
Può rappresentare una discriminante per la scelta. Normalmente si usa quello animale, ricavato dallo stomaco dei vitelli macellati; in alcuni formaggi, in genere biologici, si preferisce il caglio batterico, o microbico, ottenuto da microrganismi appositamente selezionati, oppure il caglio vegetale.
Monorigine e mix
Due le principali categorie di imbustati in commercio: i monorigine e i mix. I primi hanno un’etichetta molto chiara che non lascia adito a dubbi: dentro c’è il prodotto dichiarato sulla confezione. Nel caso dei Dop ci sono anche maggiori garanzie perché possono grattugiarli e imbustarli solo le aziende autorizzate dal consorzio di controllo, seguendo uno specifico disciplinare.
Da parte loro i mix, indubbiamente appetitosi, hanno di solito un’etichetta poco trasparente. Viene indicato il nome del o dei formaggi presenti in maggior percentuale, seguito da diciture del tipo “formaggi duri da grattugia” o semplicemente “formaggio”, che non dicono molto.
Alcuni mix contengono antiagglomeranti come la fecola di patate o la cellulosa microcristallina (che, se in eccesso, può causare gonfiori e flatulenza). Questi additivi, concessi per legge nella misura massima del 2% (e non previsti nel disciplinare dei Dop) non sono alla fine così indispensabili, visto che nella maggior parte delle buste non ci sono.
E i conservanti?
L’unico che compare è il lisozima, che serve a impedire che il formaggio ricavato da latte di vacche nutrite anche con insilati si danneggi nei primi mesi della stagionatura. Il lisozima è una proteina, del tutto innocua, che nella stagionatura del formaggio si frammenta così come avviene per la caseina del latte.