E io dico: buon appetito!


Paolo Poli, attore di teatro e non solo, a ottantaquattro anni affascina ancora il pubblico con la sua pungente ironia spaziando da commedie brillanti e opere di grande cultura

“Credevo che questo fosse il secolo del sesso, invece è il secolo della cucina. Tutti a spadellare, a casa e in televisione. Che noia!...”. Come resistere alla tentazione di intervistare su cibo e dintorni l’autore di una frase simile? Soprattutto quando si tratta di Paolo Poli, uno dei pilastri del nostro migliore teatro, elegante nella sua  irriverenza, garbato nel suo sarcasmo, spassoso nei travestimenti.
L’abbiamo intervistato dopo la sua ultima performance teatrale al Teatro Elfo Puccini di Milano, Aquiloni, dedicata alle poesie di Giovanni Pascoli. E siamo partiti proprio dalla sua frase provocatoria.

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Maestro, allora, che noia tutto questo parlar di cibo…?

Ma sì, è insopportabile, a qualunque ora si accenda la televisione c’è sempre qualcuno che sbatte un uovo o prepara chissà quale strano manicaretto. Credo che questo eccesso sia anche dovuto al fatto che chiunque può improvvisarsi cuoco, senza grande competenza, con tutto rispetto per chi questa competenza ce l’ha, ovviamente. E il risultato, almeno per quel che mi riguarda, è proprio un po’ di noia, fastidio, per questa enfatizzazione, anche nel modo di esprimersi, gesticolare, parlare, o meglio gridare. Sarà che io appartengo a una generazione che ha vissuto durante la Seconda Guerra mondiale, quando il problema quotidiano era la mancanza di cibo. E quando potevi saltare su una mina per aver cercato di procurarti delle pere, come è successo sotto i miei occhi a un mio amichetto, quando avevo otto anni… Io non ho proprio patito la fame, ma mangiavo cibi poveri e quel poco latte, quelle poche uova che avevamo a disposizione, erano per i fratellini più piccoli.
Mio compito, nella campagna dove eravamo sfollati da Firenze, era proprio andare dai contadini a racimolare un po’ qua un po’ là questi preziosi alimenti. Erano tempi in cui non si andava tanto per il sottile e si ricavava cibo da quel che si aveva a disposizione.

Nei testi più antichi come nei libri d’arte il cibo ha sempre avuto grande spazio

È vero, perché tutte queste opere risalgono a tempi in cui c’era tanta miseria e il cibo era di per sé magico, perché raro e prezioso. Basti pensare alle tartine imburrate “di sopra e di sotto” che la fata promette a Pinocchio per festeggiare la sua trasformazione in bambino, come fosse una leccornia eccezionale. Per non parlare della mela, presente dalle fiabe alla Bibbia e nella pittura: nella Canestra di frutta del Caravaggio ve ne sono due, una bacata, che simboleggia Adamo, e una sana che simboleggia Gesù, che rimedia agli errori degli uomini. E anche l’uva rappresenta Cristo, quella bianca la sua morte e quella rossa il suo sangue. O il fico, che simboleggia il tradimento e al cui albero, infatti, si impicca Giuda.

Già da bambino aveva velleità artistiche?

Diciamo che fin da piccolo venivo applaudito quando recitavo le poesie di Pascoli e, nel mio repertorio, avevo dei pezzi forti tra cui la preghiera alla Vergine di San Bernardo nel Paradiso dantesco, che mi facevano declamare quando veniva in visita alla nostra scuola la Principessa di Piemonte. E facevo la gioia delle monache perché sapevo a memoria tutto il leggendario dei santi di Pietro da Varagine, di cui mi affascinavano in particolare i truci racconti dei loro martirii, di come venivano torturati e uccisi. Insomma la mia strada è stata tracciata fin da piccolo e ho fatto anche il burattinaio, grande mestiere.

Lei è in piena forma, presta una cura particolare alla sua alimentazione?

Non ho mai pensato di seguire un’alimentazione “salutare”, ma spontaneamente ho sempre mangiato poco e grazie al cielo sono in buona salute e non ho mai avuto problemi di sovrappeso. In generale, credo proprio che un po’ di sobrietà in più non guasterebbe. Alcune cose a tavola mi danno molto fastidio: ad esempio lo spreco, la stupida norma di galateo che impone di lasciare qualcosa nel piatto e di non dire buon appetito, perché è come ammettere di aver fame e quindi essere un poveretto. Io finisco sempre tutto e auguro buon appetito! E spero anche si risolva il problema della contraffazione dei cibi. Un giorno un simpatico sacerdote mi chiese di intercedere presso il conte Guicciardini affinché gli procurasse del vino genuino, perché si era accorto di aver celebrato messa per anni con vino al metanolo…

E io dico: buon appetito! - Ultima modifica: 2013-11-08T00:00:00+01:00 da Redazione

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