Coltivare la musica e nutrire l’anima


Franco Mussida, musicista e compositore, chitarrista del gruppo Premiata Forneria Marconi, ci racconta il suo viscerale rapporto con la musica, analogo a quello di un agricoltore che cura e accudisce con amore la sua terra. Così lui fa con i suoni

Le affinità tra musica e cucina sono davvero sorprendenti. Una conferma la si può trovare nella veste di Franco Mussida, musicista che ha messo addirittura la sua musica in… padella! Nulla che si possa poi mettere realmente sui fornelli, ma pur sempre padelle, che sottolineano l’importanza della musica come nutrimento dell’anima.

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Da dove iniziamo? Dalle padelle o dalla musica?

Dalla musica. Il percorso che mi ha portato fino alle padelle, anzi ai padelloni, è lungo e si lega al concetto di musica come nutrimento, concetto che sviluppo in una rubrica su una rivista del vostro gruppo editoriale, Strumenti Musicali, e che si intitola proprio Musica biologica.
Ho scelto il termine biologico per associare la figura del musicista a quella dell’agricoltore. Ho una certa dimestichezza col cibo come materia prima. Mi spiego: mia moglie, Loredana, ha fondato la Sezione Lombardia dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica che, per tanti anni, ha avuto sede a casa mia.

Da qui è nato il parallelismo tra agricoltore e musicista?

Esatto. Ma è utile sottolineare la differenza tra i modi in cui si può essere l’uno o l’altro. Si può essere agricoltori distaccati, autisti di cingolati e trattori che vedono la terra come qualcosa da sfruttare, o agricoltori attenti che entrano nel ciclo della natura con la consapevolezza di esserne davvero parte. Si può essere musicisti distratti che sfornano musica tecnicamente perfetta, creata in modo automatico, priva di emozione. O musicisti consapevoli, che cercano una relazione profonda con l’elemento vitale e vibrante che vive nel suono. Musicisti che seminano note associate a emozioni e immagini, nel terreno fertile e ricco del loro mondo interiore. Intenzioni che diventano note da concimare, innaffiare, da associare ad altre note, per creare contesti melodici e armonici da far crescere con un preciso ritmo. Al termine di questo processo non ci saranno mele, ma brani musicali! Oggi si produce tanta musica insipida, inodore e insapore, così come si producono mele e sedani bellissimi che non sanno di nulla. Le similitudini tra i due processi sono tantissime. Alla base di entrambi c’è un atto creativo: il musicista è il cuoco di quella particolare materia vibrante e vitale fatta di timbri e suoni che chiamiamo musica e il fattore consapevolezza è qui, come in ogni altro percorso artistico, fondamentale.

Che cosa sono questi padelloni?

Dopo Racconti della tenda rossa, un album pubblicato nel 1993, volevo trovare un diverso modo per presentare il mio lavoro, comunicando non solo suoni e composizioni ma il mio personale rapporto con la musica. Mi sono venuti in mente i vinili, i trentatrè giri, il rapporto fisico che si aveva con essi. I long playing, in gergo popolare, li chiamavamo padelloni. Così dopo mesi di studio siamo arrivati a produrre delle vere e proprie “sculture–contenitori” per la mia musica, rivestiti in oro, argento, rame, platino, oggetti da percepire con tutti i sensi, pensati per chi è interessato a considerare la musica e l’oggetto che la veicola come una sola cosa. Sui manici sono incise formule che rappresentano più nel dettaglio il mio rapporto col suono e il cd è stato messo nel centro della padella. In ciascun padellone è inserito uno specifico progetto musicale fatto di diverse composizioni: due sono tratte delle musiche da me scritte per il film Scene da un matrimonio di Bergman che è andato in scena nel gennaio del 2011, e quattro dai Masnadieri, un’opera di Schiller reinterpretata recentemente da Gabriele Lavia, in cui sono stato autore, insieme ai miei figli Francesco e Alessandro, della colonna sonora.

Tutto ciò è nato dall’esigenza di comunicare con la musica emozioni e pensieri

Certo, la musica è elemento primario per la comunicazione tra individui, anche se viene normalmente percepita essenzialmente come divertimento. Noi musicisti abbiamo il privilegio di collegarci all’interiorità degli ascoltatori, entrando in una relazione spirituale che mette in movimento i loro sentimenti. Anche per questo, credo, si debbano “nutrire” i ragazzi somministrando tecnica e nozioni, ma anche facendo loro vivere la musica come mezzo per raccontare l’invisibile contenuto della propria sfera privata, quella affettiva. A proposito di musica e giovani, vorrei dire ai genitori di prestare attenzione alla musica che ascoltano i loro figli, perché è una chiave importante per capirli, per comprendere davvero i loro sentimenti, le loro gioie, i loro disagi. Che provino ad andare oltre le antipatie per generi musicali che non amano e non capiscono e cerchino di percepirne il messaggio che c’è dietro.

Concludiamo con un tuo ricordo legato al cibo

Tengo molto a un mio record culinario, di quando ero il cuoco ufficiale della PFM (Premiata Forneria Marconi): un pranzo preparato in un grande ristorante di Los Angeles dove, insieme al mio amico cuoco in seconda Di Cioccio (Franz Di Cioccio, batterista e cantante del gruppo, ndr), abbiamo preparato un tris di primi per duecento persone per presentare il nostro primo album live, intitolato Cook, registrato negli States. Bella e divertente esperienza, ma stancante, che si fa una sola volta nella vita. Per questo ora lascio volentieri i fornelli a mia moglie che, vista la sua competenza, sa dove trovare cibi buoni e sani da preparare ogni giorno.

Coltivare la musica e nutrire l’anima - Ultima modifica: 2013-01-11T00:00:00+01:00 da Redazione

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