Cibo, grande evocatore di ricordi


Daria è un volto noto ai telespettatori che la seguono in televisione mentre intervista vip di ogni categoria. Questa volta ha accettato di sedersi lei sulla poltrona di fronte e, chiacchierando con semplicità, ci ha regalato una fetta della sua vita privata, della sua famiglia, raccontandoci di quanto le piaccia mangiare e del cibo in generale, che nutre corpi e affetti e che crea legami, proprio come le tre mele che ha scelto di mettere sulla copertina del libro.

Daria è un volto noto ai telespettatori che la seguono in televisione mentre intervista vip di ogni categoria. Questa volta ha accettato di sedersi lei sulla poltrona di fronte e, chiacchierando con semplicità, ci ha regalato una fetta della sua vita privata, della sua famiglia, raccontandoci di quanto le piaccia mangiare e del cibo in generale, che nutre corpi e affetti e che crea legami, proprio come le tre mele che ha scelto di mettere sulla copertina del libro.

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Perché sulla copertina del tuo libro Non vi lascerò orfani hai scelto di mettere tre mele?

Anche se non credo di aver scelto le mele per dare al libro una connotazione alimentare, sicuramente queste vogliono comunicare che in quelle pagine il cibo è molto presente, visto che si parla della vita reale di una famiglia. E se vogliamo trovare un altro legame fra la copertina e la storia, direi che la mela è un frutto semplice e infantile per eccellenza, che rispecchia la realtà e la semplicità con cui ho voluto raccontare la mia storia familiare.

Come era la tua famiglia a tavola?

Date le nostre origini emiliano-romagnole, abbiamo sempre trovato un gran gusto nel mangiare e nello stare a tavola, considerandolo un momento di gioia e di condivisione sia per il palato sia per lo spirito e il cuore. I miei genitori poi erano particolarmente golosi e amavano andare a cercare le trattorie e i ristoranti, piuttosto che cucinare in casa. Non è che mia madre non sapesse cavarsela ai fornelli, anzi, quando ci si metteva era piuttosto brava, ma faceva l’insegnante e aveva poco tempo da dedicare alle cose di casa. Nel libro ho ricordato il suo “arrosto senza guardare”, che veniva benissimo anche se lei buttava frettolosamente e a caso nella pentola i vari ingredienti, carne, aglio, rosmarino, che miracolosamente si amalgamavano benissimo e dai quali risultava un ottimo piatto. Quando aveva preso “un filone” di successo lo ripeteva per giorni e giorni: tre settimana di arrosto, poi altre tre di spezzatino con piselli e patate e così via. Per fortuna al sabato e alla domenica salivamo tutti sulle nostre due macchine, la millecinque e la cinquecento, e andavamo a Castel San Pietro, nella casa dei nonni. Lì cercavamo le trattorie migliori dove facevamo grandi mangiate di tortelloni, tagliatelle al ragù, castrato, tipico di quelle parti, tutti piatti che ricordo eccellenti.

Il tuo libro parte da una morte ma parla molto anche di vita, in tutti i suoi aspetti.

Sì, è nato dalla mia esigenza di fare una riflessione sul dolore dell’orfano adulto che, per come l’ho vissuto io, è molto più profondo di quello che prova un giovane a perdere un genitore. Quando è morto mio padre avevo vent’anni e il dolore è stato troppo devastante, tanto da non avere il coraggio di affrontarlo. Mentre la morte di mia madre, pur col suo strazio, mi ha permesso di guardarlo, quel dolore, di andarci in fondo, ma anche di rivedere tutta la vita che avevo trascorso con lei e con la mia famiglia. E la vita non può esserci senza cibo, come nutrimento e come divertimento. Nel libro parlo molto di Ferrara, dove sono nata e vissuta fino a ventidue anni, dei luoghi in cui andavamo a mangiare e che mi piace far conoscere ai miei figli. Io sento che attraverso questi piatti riesco a trasmettere ricordi indimenticabili dei loro nonni e anche miei, come in nessun altro modo. E nel libro li invito proprio ad andare ogni tanto, quando anch’io non ci sarò più, a mangiare alla Chiusa, dove si gusta il castrato più buono, o da Willy dove fanno le migliori crescentine fritte, o a comprare i savoiardi di Castel San Pietro, dal profumo unico e vanigliato. È una sorta di testamento attraverso gli odori e i sapori, cose semplici che ci tengono uniti ai luoghi e alle persone in modo profondo.

I comportamenti alimentari in genere si tramandano attraverso le generazioni, lo hai sperimentato anche tu?

Sì, nel bene e nel male l’imprinting familiare credo proprio sia determinante nella storia alimentare di ciascuno di noi. Nel libro, ad esempio, ricordo tutte le restrizioni imposte in casa mia sotto l’etichetta di un non ben identificato “mal di fegato”, che a quei tempi era piuttosto di moda e che i miei si erano diagnosticati senza una vera ragione medica. Risultato: banditi i fritti, i salumi, il cioccolato e altre cose peccaminose come il burro fuso, che per me è il demonio, il tabù assoluto. Tabù che peraltro io ripropongo, in modo viscerale, ai miei figli, per nulla entusiasti di questo mio salutismo. A bilanciare un po’ la dispensa di casa pensa mio marito, che mangerebbe unicamente quelle che io chiamo “le schifezze” e che ogni tanto fa un raid al supermercato e le introduce clandestinamente in casa. Comunque, anche se qualche trasgressione è consentita, la cucina di tutti i giorni deve esser semplice e sana. È una cosa cui tengo molto e ho partecipato anche per un paio d’anni alla commissione mensa della scuola dei miei figli: nella mensa la qualità del cibo era veramente pessima, ma in genere i bambini erano bravissimi e ubbidienti e mangiavano cose che in casa non avrebbero assaggiato nemmeno.

Hai detto di essere una gran mangiona, anche se non so dove tu metta tutto quel che mangi. Non hai l’ossessione della linea, come credo tutti quelli che lavorano per la tivù?

A differenza di quel che si può pensare non frequento fuori orario di lavoro “persone dello spettacolo” e quindi non so bene come si nutrano. Per il resto, devo dire di essere circondata da persone che mangiano volentieri e che non mi sembrano così ossessionate dalla linea. In quanto a me, vista la mia passione per il cibo, ho notevoli variazioni di peso e nei periodi in cui lavoro per la televisione e devo registrare delle puntate adotto delle strategie, perché è risaputo che l’immagine in televisione ti ingrassa almeno di una taglia e quindi, per sembrare normale, devi essere magra stellata, come diceva mia madre. Io comunque non rinuncio alle mangiate di gusto e soprattutto, appena registrata la puntata, per i due-tre giorni successivi mi rilasso e mi godo il cibo, concedendomi anche qualche abbuffata. Poi, per rientrare nei ranghi e non sembrare troppo tonda, i due, tre giorni prima di registrare mangio poco. Ho anche trovato il pasto ideale prima della registrazione: ananas e mirtilli al posto della cena. Non so bene quali siano i preziosi nutrienti che contengono, ma mi danno la carica giusta e mi fanno sentire a posto senza appesantirmi.

Cosa mi dici del legame tra il cibo e la seduzione?

Ho avuto un fidanzato napoletano che mi ha letteralmente circuito e conquistato a colpi di friarielli e mozzarelle di Mandara e questo ovviamente mi affascinava e gratificava molto. Riguardo alle conseguenze sulla vita sessuale, anche se dicono che il cibo giusto favorisca una buona intesa, con me non funziona proprio, perché io mangio tanto e quindi dopo… dormo! Complessivamente quindi, per  me, i buoni piatti, le cose cucinate con cura e con amore sono legate alla sfera affettiva familiare e alle coccole materne, piuttosto che all’erotismo.

Cibo, grande evocatore di ricordi - Ultima modifica: 2010-09-29T00:00:00+02:00 da Redazione

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