A tavola, slacciarsi la cravatta


… dell’anima. Il senso sacro del cibo, il condividerlo solo con chi si è in “confidenza”. Ne parliamo con Vinicio Capossela

Passa con disinvoltura dai bestiari d’amore trecenteschi ai pirati, dalle struggenti storie d’amore ai ritmi più sfrenati, e un suo concerto è sempre un’avventura emozionante. Vinicio Capossela è certamente uno dei più vivaci, irriverenti e profondi cantautori italiani.

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Sei nato ad Hannover, in Germania, ma dove sei cresciuto?

In Emilia, a Scandiano, il paese di Matteo Maria Boiardo e Lazzaro Spallanzani. Un poeta epico e uno scienziato naturalista. Curiosamente sono le due canzoni che ho coltivato. Da bambino mi appassionavano la figura dello scienziato e quella dell’inventore. Così studia chimica. Ma la mia materia preferita era epica e avevo una grande passione per gli strumenti a tastiera e le biciclette.

Cibo e senso del sacro. Cosa ne pensi?

Il cibo è la base di ogni ritualità. Purtroppo oggi viviamo in un mondo totalmente desacralizzato, e la sua mercificazione, quella della carne soprattutto, ha interrotto un rapporto autentico con la terra. È anche così che sono aumentate le difficoltà. Il grano, la grande madre alimentare delle culture mediterranee, è sempre più spesso causa di intolleranze, come ad esempio la celiachia. Nonostante questo, il cibo continua a essere un intimo, complesso canale di collegamento con il mondo. Un confronto continuo tra istinto, necessità, identità che aiuta a decidere di cosa vogliamo essere fatti.

Il cibo è anche convivialità…

Il cibarsi e il bere insieme fanno slacciare la cravatta all’anima: buon vino, buon cuore, buona compagnia. L’essere umano ritrova la sua natura. Personalmente trovo impegnativo mangiare insieme senza una vera confidenza. Allo stesso tempo il cibo è anche un fatto assolutamente personale, di intimità con se stessi.

Cosa prediligi mangiare prima dei concerti?

Di sicuro se non mangio mi viene il mal di testa. Non riesco quasi a pensare. Allo stesso tempo, mangiare troppo fiacca la lucidità e la determinazione. Le acciughe sono forse amiche della voce, di sicuro sono amiche del vino e della compagnia. Regalano gioia senza prendere troppo possesso di te.

Grandi colture contro piccoli produttori: da che parte stai?

Certamente con la natura. È innaturale mangiare una pera che ha dovuto fare il giro del mondo per arrivare a me. Però diffido anche degli eccessi di fanatismo e soprattutto temo che filiera corta, biologico e cibo sano siano sempre più appannaggio dei ricchi, che un’altra volta hanno qualche chance in più di salvarsi la pelle.

Perché secondo te i giovani non vogliono più lavorare la terra?

Non credo sia del tutto vero. Quello che però deve fare riflettere sono i margini sempre più ridotti, quasi umilianti, di guadagno per chi lavora la terra. Il prezzo del grano, degli ortaggi è bassissimo. Il divario tra prezzo al consumatore e quello di vendita del produttore è vessatorio.

Qual è il mito legato cibo che ti piace di più?

Quello di Polifemo. Viene vinto dal vino, in maniera così piacevole che, per ringraziare Ulisse che glielo ha fatto scoprire, decide di mangiarlo per ultimo, dopo tutti i suoi compagni. È una storia che ci dice molto sul fatto che per godere delle cose bisogna anche impedire che ci distruggano.

È importante sapere da dove arriva ciò che mangiamo?

Sì lo è, ma è altrettanto importante essere coscienti di come impieghiamo la vita, di cosa introduciamo in termini di cibo, parole, musica, chiacchiere. Zorba il greco, un bellissimo libro di Nikos Kazantzakis, diceva: “Giudico le persone con questo criterio, in cosa trasformano, il cibo che hanno mangiato”.

Un proposito, un pensiero conclusivo

Mi riaggancio al libro che ho citato sopra. Spero di restituire al mondo, in qualche modo, ciò che ho mangiato sotto forma di gioia anziché accidia e letame.

A tavola, slacciarsi la cravatta - Ultima modifica: 2015-01-19T00:00:00+01:00 da Redazione

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