FederBio: “Il futuro dell’agricoltura italiana?” “Di sicuro è il biologico”


Fra gli ostacoli da superare il fatto che, nonostante il 14,5% dei campi sia coltivato a biologico, le 65.000 aziende che lo fanno ricevono solo il 2,3% delle risorse finanziarie che l’Unione Europea mette a disposizione degli agricoltori. Intervista a Maria Grazia Mammuccini, responsabile del progetto “Cambia la terra”

Sempre più spesso in supermercati e negozi vari si incontrano espositori, scaffali o interi reparti dedicati al cibo e ai prodotti “biologici”. Fino a poco tempo fa “bio” era sinonimo di naturale, si, ma anche deperibile, pregiato... e costoso. Oggi però si sta facendo strada la convinzione che “biologico”, ovvero prodotto senza pesticidi, fertilizzanti e altri prodotti chimici sintetici, sia anche sinonimo di migliore per la salute, sostenibile per l'ambiente e quasi altrettanto economico. Ben 65.000 imprese italiane sono impegnate in questo settore. Circa un milione e 800.000 ettari del suolo agricolo nazionale sono, già oggi, destinati a coltivazioni biologiche. Eppure l'agricoltura più verde soffre la concorrenza sleale di quella, cosiddetta, convenzionale.

Federbio riunisce le organizzazioni della filiera dell'agricoltura biologica e biodinamica: agricoltori, allevatori, rivenditori e aziende di trasformazione. Recentemente ha reso pubblico il rapporto “Cambia la terra” che denuncia questa contraddizione: in Italia si incentiva maggiormente l'agricoltura fatta con pesticidi e diserbanti. Infatti, nonostante il 14,5% dei campi e dei frutteti sia coltivato secondo le regole del biologico, a quelle aziende arrivano solo il 2,3% delle risorse finanziarie che la Unione Europea mette a disposizione degli agricoltori.

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Per approfondire l'argomento A conti fatti”, rubrica radiofonica di EconomiaCristiana.it trasmessa da Radio Vaticana Italia, ha intervistato Maria Grazia Mammuccini, Consigliere Delegato di FederBio, responsabile del progetto “Cambia la Terra”.

FederBio è la federazione delle organizzazioni della filiera dell'agricoltura biologica e biodinamica. Può chiarire la differenza tra "biologico" e "biodinamico"?

L'agricoltura biologica è normata da un regolamento europeo ormai da molti anni, anche aggiornato con modifiche recenti. Non fa uso di sostanze chimiche di sintesi ma solo di prodotti di origine naturale. Lavora principalmente con razze e varietà locali e applica il principio della rotazione, quindi puntando continuamente al mantenimento della fertilità del suolo attraverso il costante  reintegro della sostanza organica. È normata da un disciplinare che applica a tutta l'Europa le stesse norme su come produrre agricoltura biologica.
L'agricoltura biodinamica si basa su un'impostazione data da Rudolf Steiner (esoterista e filosofo austriaco, nda.) già dalla fine degli anni '20, e fa riferimento alle tesi dell’antroposofia (disciplina filosofico-esoterica, nda.). Dispone di una serie di “preparati biodinamici” per l'utilizzo nelle coltivazioni, ottenuti da letame, polvere di quarzo o sostanze vegetali in diluizione omeopatica. È una pratica, consolidata ormai da molti anni, all'interno dell'agricoltura biologica; e ha un doppio impegno: perché è certificata biologica e biodinamica attraverso Demeter, l'associazione italiana dell'agricoltura biodinamica all'interno di FederBio. Questa è l'organizzazione che, fin dall'inizio, segue e supporta l'agricoltura biodinamica. Siamo nell'ambito di due pratiche certificate, che sono controllate rigorosamente e con dei disciplinari consolidati, che vengono applicati da chiunque vuole produrre biologico o biodinamico.

Il dubbio che può venire a chi non si occupi direttamente di agricoltura (men che meno di agricoltura biologica) è che eliminando fertilizzanti, diserbanti e insetticidi chimici dalla produzione agricola si rischi di diminuire la produzione, in quantità e in qualità; e che il prodotto costi di più poi al consumatore finale.
Il biologico rischia di costare di più, e di dar da mangiare a meno persone?

Sulla produzione più bassa del biologico rispetto al convenzionale c'è veramente da riflettere, in termini strategici. Si pensa sempre alla produzione come misura di quanto produce all'ettaro una data coltivazione in un anno. In realtà, ormai, tutti i dati ci dicono che, nel tempo, la costanza di produzione data dall'agricoltura biologica e biodinamica risulta alla fine superiore rispetto all'agricoltura “convenzionale”. Da questo punto di vista è stato lanciato un allarme da una task force dell'ONU: con il metodo di coltivazione convenzionale, con un pesante uso di chimica di sintesi, si rischia di perdere il 40% per cento delle terre fertili da qui al 2050. Quindi, nel medio-lungo periodo, l'agricoltura biologica e biodinamica produce di più rispetto all'agricoltura convenzionale che, sostanzialmente, nel tempo desertifica i suoli.
Affrontiamo poi il problema del prezzo. Bisogna puntare sempre ad avere un prodotto fatto nel rispetto dell'ambiente e dei diritti dei lavoratori, cercando di avere un prezzo giusto. È chiaro che se puntiamo a un prezzo minimo, questo sarà ottenuto con metodi di coltivazione che sfruttano la natura e le persone; perché in realtà lo sfruttamento della terra e lo sfruttamento delle persone sono due facce della stessa medaglia. Quindi non dobbiamo guardare a qualcosa prodotto al prezzo minimo. Certo, bisogna avere un quadro chiaro della produzione della filiera, e anche eliminare tanti passaggi intermedi inutili. Perché oggettivamente (non è la maggior parte del biologico) ma in qualche caso ci sono anche dei prezzi eccessivi. Non è questo a cui dobbiamo guardare, quanto a un prodotto fatto nel rispetto della natura, delle persone che lavorano, ma che alla fine sia accessibile al consumatore. Se guardiamo soprattutto ai prodotti locali e ad accordi di filiera tra produttori trasformatori e distributori, si può raggiungere questo obiettivo che è sicuramente quello migliore per tutti.

Un altro luogo comune, forse da sfatare, è che nell'agricoltura biologica non si metta nulla nel campo. Ci sono delle alternative naturali alla chimica? Fertilizzanti e anti parassitari naturali?

Sì assolutamente. Intanto, dal punto di vista dei fertilizzanti, il biologico si basa proprio sull'apporto di sostanza organica. Quindi il biologico, anche per questo obiettivo, in buona parte punta a un'integrazione tra coltivazione e allevamento, per avere disponibilità di letame a per fertilizzare la propria terra. Oltre al letame ci sono tante altre pratiche che possono portare sostanza organica nel suolo. Per esempio la trinciatura delle erbe: in sostituzione dell'utilizzo di prodotti chimici e diserbanti come il glifosato, sospetto cancerogeno, ci sono macchinari avanzati che apportano sostanze organiche nel suolo trinciando le erbe. Oppure i sovesci (coltivazioni che concimano direttamente il suolo apportando sostanze nutrienti alla terra, nda.) che, insieme alle rotazioni, consentono di avere sempre un equilibrio di sostanza organica nei suoli, e una fertilizzazione che dà ad essi una notevole qualità. Qualità si trasferisce poi a ciò che si produce su una terra fertile e gestita in modo naturale. Anche dal punto di vista della difesa, ci sono ormai una serie di prodotti, anche innovativi, che possono essere utilizzati: prodotti a base naturale ma anche una serie di supporti per le piante che servono a rafforzare le loro difese naturali. Ci sono, ad esempio, prodotti a base di alghe, che possono dare dei risultati veramente interessanti. E poi ci sono gli insetti antagonisti.
Nella fase di passaggio e conversione dall'agricoltura convenzionale all'agricoltura biologica ci possono essere difficoltà per gli agricoltori, perché è chiaramente un momento delicato; ma una volta recuperato un equilibrio nelle proprie coltivazioni, nella propria terra, poi si trova veramente una condizione di gestione assolutamente favorevole, sia del suolo, sia della difesa delle piante. Certo, da questo punto di vista serve investire ancora in ricerca, innovazione e formazione. Questo è un punto molto importante; perché fino ad oggi si è investito solo per una ricerca finalizzata a rafforzare l'agricoltura convenzionale. Invece, anche l'agricoltura biologica e biodinamica hanno bisogno di ricerca per aumentare le alternative, che già ci sono ma possono essere molte di più, per la gestione delle coltivazioni della propria terra.

Come può un consumatore, andando al supermercato, riconoscere il vero biologico da quello che può sembrarlo dalla confezione? Chi lo certifica? Quali enti o quali istituzioni sono deputati a questo compito?

Il biologico che rispetta il disciplinare europeo e che è garantito per il consumatore, porta la fogliolina verde che è il logo dell'Unione Europea per le produzione biologiche. È certificato da enti accreditati dal Ministero dell'Agricoltura e da Accredia (ente unico di certificazione incaricato dal Governo italiano, nda.). Sicuramente il biologico, tra tutti i prodotti, è quello che ha i maggiori controlli; perché la verifica è un controllo da parte degli organismi di certificazione che si somma a tutti gli altri. Un produttore biologico, ad esempio di un prodotto a denominazione di origine o di qualsiasi altro disciplinare, deve essere sottoposto a tutti i controlli previsti dagli altri disciplinari. In più l'agricoltura biologica è un ulteriore controllo rispetto a tutti gli altri; quindi sono le produzioni sottoposte a maggiori controlli; nonostante ci siano stati una serie di scandali. Noi, come Federbio, abbiamo sempre sostenuto e agevolato tutti coloro che vogliono fare pulizia [contro] chi, in un momento di grande crescita del mercato del biologico, può approfittare di possibilità economiche [a danno di] operatori del biologico che da tanti anni operano con serietà, o anche di nuovi [operatori] che si stanno affacciando a questo tipo di produzione, nell'interesse della crescita economica, ma anche [per fare] un prodotto salubre per i cittadini e rispettoso dell'ambiente.

Quanta percentuale dell'agricoltura italiana è biologica in questo momento? Quali sono le filiere più pronte a questa richiesta del mercato?

Soprattutto negli ultimi anni, c'è una crescita notevolissima di produzioni biologiche. Secondo i dati che abbiamo riportato nel nostro rapporto, il biologico alla fine del 2016 era il 14,5% della superficie agricola utilizzata. Ma gli ultimi dati presentati al SANA (Salone Internazionale del Biologico e del Naturale, Bologna 7-10 settembre 2018, nda.) riportano un ulteriore aumento di un altro punto percentuale: una produzione veramente in grande crescita.
Una delle produzioni che, in Italia, si sta maggiormente convertendo al biologico è quella del vino. Questo è significativo perché la produzione viticola ha potuto utilizzare il marchio del biologico dal 2012, quando è stato approvato il regolamento europeo per la produzione di vino bio. Fino a quel momento non poteva essere certificato come vino bio, ma [oggi] siamo già intorno al 17,5% della superficie di vigneto coltivata in biologico. Questo è il settore più avanzato, più innovativo: quello che ha sempre perseguito degli obiettivi di qualità e di innovazione; quindi è molto significativo perché significa che il biologico ormai non rappresenta una nicchia marginale, ma la parte più avanzata e innovativa dell'agricoltura italiana.
Da questo punto di vista ci sono regioni che stanno puntando moltissimo sul biologico. Le regioni del sud ad esempio, dalla Calabria alla Sicilia, sono in testa alla classifica; ma ci sono anche molte altre regioni del centro, dalla Toscana all'Umbria, dal Lazio alle Marche, che stanno puntando moltissimo sulle produzioni biologiche. Naturalmente anche la Sardegna che sta avendo delle percentuali assolutamente consistenti. Insomma, noi pensiamo che l'agricoltura italiana, il cibo italiano, sia conosciuto nel mondo per la qualità, per il legame con il territorio e per la tipicità. Se a tutto questo viene unita anche la produzione biologica, il rispetto dell'ambiente e della salute dei consumatori, cioè se si uniscono insieme queste qualità straordinarie, possiamo dare ancora più forza alla nostra agricoltura. Quindi [il biologico] è un punto di forza per il futuro dell'agricoltura italiana.

Al salone del biologico di Bologna, FederBio ha presentato un rapporto intitolato “Cambia la terra” con un incipit che recita, testualmente: “Nei nostri campi chi inquina viene pagato”. In pratica evidenziate una contraddizione tra la crescita del biologico di cui lei ha parlato finora e i fondi pubblici destinati all'agricoltura. Vuole chiarire questo aspetto paradossale?

Questo è veramente l'aspetto paradossale, che va anche oltre quello che potevamo immaginare. Avevamo fatto un'analisi dei piani di sviluppo regionali, anche utilizzando i dati del Ministero, e avevamo di fronte delle percentuali che indicavano il 9% delle misure ambientali dedicate al biologico e il 13% dedicate ad altre pratiche che invece fanno uso di pesticidi e diserbanti. Abbiamo ottenuto poi anche dei dati più generali, che non riguardano solo i piani di sviluppo delle regioni ma anche le sovvenzioni della Politica Agricola Comunitaria del “primo pilastro” (il sostegno dei prezzi dei prodotti agricoli e l’integrazione diretta dei redditi degli agricoltori, nda.). Messi tutti insieme questi dati portano a una destinazione all'agricoltura biologica del 2,3%, se guardiamo i fondi europei, o del 2,9%, se a questi si unisce anche il cofinanziamento nazionale. Ora, oggettivamente questi numeri sono impensabili. Perché una pratica che punta al rispetto dell'ambiente e ad ottenere prodotti senza residui chimici per i consumatori, dovrebbe avere casomai delle sovvenzioni in più rispetto a quella che fa uso di chimica di sintesi. In questo caso invece, non solo non c'è nessuna sovvenzione in più, ma addirittura non si rispettano neanche le percentuali della superficie agricola utilizzata: se abbiamo quasi il 15% di superficie coltivata in biologica e il 2,9% di fondi destinati alle coltivazioni biologiche, siamo proprio fuori da qualsiasi aspettativa.
Bisogna assolutamente cambiare le politiche per il futuro perché, tra l'altro, produrre biologico ha dei costi superiori: significa avere un'incidenza del 30% in più del lavoro sulla produzione lorda vendibile. Perciò, se [il prodotto bio] costa qualcosa in più ma si produce più lavoro, è un beneficio per tutta la società. Quindi, da questo punto di vista, credo che noi continueremo il nostro lavoro. Continueremo a utilizzare questi dati per sollecitare la politica a cambiare questa proporzione, perché occorre davvero cambiare agricoltura. Non tanto per dare spazio al biologico, ma per dare una prospettiva strategica all'agricoltura italiana che, con il biologico, può davvero fare un ulteriore grande salto nel futuro.

Secondo lei perché questa sproporzione? È una volontà politico-economica dei vertici o di chi eroga questi fondi? È una “distrazione” della politica? Oppure è il settore biologico che non ha la capacità di accedere a queste sovvenzioni?

Secondo me ci sono diverse cause. Sicuramente, fino ad oggi, il biologico è stato visto come una nicchia marginale su cui non investire perché, anche se rispettoso dell'ambiente, non dava risultati sul piano economico. Oggi questo paradigma è completamente ribaltato, perché i dati ci dicono che il biologico riesce a dare maggior reddito agli agricoltori, ed anche più lavoro. Quindi è evidente che la crescita del biologico e questi dati di analisi economica devono essere messi di fronte al decisore politico, proprio per cambiare visione rispetto all'agricoltura biologica: puntando a questo come strategia per l'agricoltura italiana.
Poi però ci sono anche altre cause. Ci sono delle rendite di posizione, consolidate nel tempo: non si vuole rinunciare a questo tipo di sovvenzioni, anche se non producono nulla di utile alla società. In questo anche i vertici delle organizzazioni agricole difendono lo status quo, magari anche per motivi nobili: hanno paura che si perdano risorse e ulteriori aziende agricole. Ma ormai tutto ci dice che per non perdere altre aziende agricole, per continuare ad avere un'agricoltura forte nel nostro paese, bisogna cambiare modello di riferimento. Anche le associazioni devono iniziare a modificare il proprio approccio e la propria visione del futuro. Senza dubbio, a livello comunitario, hanno il loro peso anche le lobby dell'agrochimica, che puntano a sostenere un'agricoltura che fa grande uso di chimica di sintesi; perché naturalmente il loro interesse è molto orientato ad avere pratiche che facciano uso dei loro prodotti. Questo è abbastanza normale. Ma la politica invece dovrebbe avere una visione più larga, che guarda a tutti i cittadini e anche all'interesse del sistema agricolo, che deve assolutamente cambiare modello di riferimento.

Avete notato un interesse nuovo del Governo o dell'Unione Europea al problema che avete sollevato? Siete ottimisti rispetto al recepimento di questa denuncia e al cambiamento di rotta che auspicate?

Non è facile essere né ottimisti né pessimisti perché, nonostante tutte le evidenze che abbiamo di fronte, è difficile, molto difficile cambiare questo ambito; anche più di quello che si potrebbe immaginare. Dall'altra parte c'è che i cittadini e gli agricoltori stanno cambiando da soli. Nonostante i prezzi superiori, nonostante una fase di crisi che determina anche delle difficoltà nelle famiglie, le vendite del biologico crescono; perché i cittadini vogliono un cibo sano, che rispetti l'ambiente e tuteli la loro salute. Anche gli agricoltori stanno cambiando dietro la spinta dei cittadini; questa è l'altra cosa bella. Soprattutto i giovani e le donne che fanno agricoltura, stanno puntando tutti su quella biologica. Questo mi fa essere ottimista: non potremo fermare il cambiamento di chi ha preso un'altra strada. Se non è oggi sarà domani, la politica dovrà seguire questo percorso; perché la visione per il futuro del mondo della parte migliore della società va in questa direzione.

FederBio: “Il futuro dell’agricoltura italiana?” “Di sicuro è il biologico” - Ultima modifica: 2018-10-03T12:11:22+02:00 da Franco Travaglini

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