Il “modello” biodistretto


“Un’area geografica nella quale si costituisce un’alleanza tra agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni per la gestione sostenibile delle risorse, sulla base del modello biologico di produzione e consumo”. Ne parliamo con Salvatore Basile, coordinatore dei biodistretti promossi dall’Aiab

 

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Dieci biodistretti, distribuiti in 8 regioni e 93 comuni, per una superficie totale di 6.400 chilometri quadrati e mezzo milione di abitanti. Circa 2000 aziende biologiche che vi operano per un totale di oltre 8.300 ettari di superficie agricola utilizzata. Questa la fotografia attuale dei biodistretti promossi dall’Aiab
 (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica) i cui rappresentanti si sono riuniti in assemblea per la prima volta il 13 marzo a Roma.
Ma cos’è un biodistretto e qual è la sua ragione di esistere? Lo abbiamo chiesto a Salvatore Basile animatore della prima esperienza di questo tipo, nel Cilento (Campania), e attuale Coordinatore dei biodistretti promossi dall’Aiab.

“Il biodistretto – risponde Basile - è un’area geografica nella quale si costituisce un’alleanza tra agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni per la gestione sostenibile delle risorse, sulla base del modello biologico di produzione e consumo. Il riferimento al biologico nel nome indica la matrice di partenza e l’obiettivo generale che si persegue, la diffusione appunto dell’agricoltura biologica.

Possono aderire e partecipare solo aziende biologiche?

No, per aderire alla biodistretto non è necessario preliminarmente convertire al biologico la propria azienda. Anche se ad alcune iniziative – come per esempio i mercatini – possono partecipare solo aziende certificate secondo il regolamento dell’Unione europea.
Nel Cilento, come in generale in tutte le aree dei biodistretti, ci sono numerose piccole e piccolissime aziende che, di fatto, fanno agricoltura biologica, ma non sono controllate e certificate. In queste realtà stiamo sperimentando delle forme di certificazione partecipata e di certificazione di gruppo, che, tra l’altro, ha costi molto più accessibili. Sono forme che non hanno ancora un riconoscimento normativo, ma a livello locale possono assolvere comunque una funzione importante.

Qual è il ruolo delle amministrazioni locali?

Innanzi tutto il biodistretto è una porzione di territorio definita secondo criteri che sta alle amministrazioni comunali, provinciali e regionali decidere, insieme alle regole per il suo funzionamento. Per esempio il nostro, nel Cilento, coincide con l’area del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Un altro aspetto importante è che in tutti i biodistretti c’è un grosso impegno nel promuovere la ristorazione biologica nelle strutture pubbliche (scuole, ospedali ecc.). Non meno importanti sono poi le risorse che le amministrazioni locali decidono di investire per sostenere e promuovere le attività dei biodistretti.

Può esemplificare quali sono queste attività, per esempio nel Cilento?

Della ristorazione pubblica ho già detto. Quanto alla ristorazione privata, soprattutto nei ristoranti e nelle zone turistiche abbiamo adottato una linea flessibile ma rigorosa, che consiste nel differenziare l’assegnazione del marchio del Biodistretto del Cilento. Ci può essere l’uso del marchio su tutta la “carta”, quando tutti i piatti sono realizzati con prodotti biologici provenienti dal biodistretto stesso. Questo, però, è abbastanza difficile. La situazione più comune è che il ristorante presenti un menù particolare tutto con prodotti bio o che singoli piatti siano realizzati con prodotti bio.

All’inizio lei ha accennato ai mercatini cui possono partecipare solo i produttori certificati…

Sì, con periodicità diverse secondo le stagioni, i mercatini si svolgono in tutti i 31 comuni dell’area e sono un aspetto importante del rapporto con il territorio e della scelta di utilizzare le varie forme di filiera corta. A questo scopo è stata costituita una piattaforma di distribuzione, dove si raccolgono i prodotti provenienti dalle varie aziende e che serve a rifornire le iniziative a livello comunale. Non solo i mercatini rivolti ai residenti, ma anche quelle destinate ai turisti, soprattutto nelle località marine. Per esempio le “Biospiagge”, un’iniziativa estiva che gode dell’ospitalità degli stabilimenti balneari per portare i prodotti biologici direttamente in spiaggia.

Ci sono altre iniziative legate al turismo?

Un gruppo di giovani ha tratto spunto dall’esistenza del biodistretto per costituire ad Ascea l’“Archeotrekking” una cooperativa che propone degli itinerari – a piedi, a cavallo o in bicicletta – che collegano le località di mare alle tre principali attrattive storico-architettoniche della zona: le aree Archeologiche di Velia e di Paestum, e la Certosa di Padula. Questi itinerari, che invitano i villeggianti a scoprire anche l’interno del Cilento sono disegnati in modo da passare dalle aziende agricole, biologiche e non, che aderiscono al Biodistretto e che cosi possono far conoscere i loro prodotti. In questo modo gli aspetti naturalisti e storico architettonici degli itinerari si integrano anche con quelli enogastronomici.

Ma questo succede solo d’estate…

Certamente il turismo stagionale resta predominante, ma la presenza del Biodistretto ha prodotto anche un turismo fuori stagione, da ottobre a marzo, quando da vari paesi oltre l’Italia – per esempio Austria, Germania, Francia – arrivano persone da università o istituti di ricerca che vengono proprio per studiare il Biodistretto nei suoi differenti aspetti. Ed è un fenomeno in crescita.
Le attività del Biodistretto, poi, a riprova del fatto che è un’iniziativa utile a tutto il territorio, sembra facciano da traino anche alla ripresa o alla valorizzazione dell’artigianato locale con attività tradizionali come la lavorazione del legno d’ulivo o quella di un gruppo di ragazzi che colorano tessuti e filati con tinture naturali realizzate con le piante del Parco.

Cos’è emerso dall’assemblea che avete fatto a metà marzo?

Oggi i Biodistretti sono attivi in Toscana, Campania, Calabria, Lazio, Trentino Alto Adige, Liguria, Piemonte. Molise, Puglia e Basilicata stanno invece mettendo a punto la loro rete. Tutte queste realtà si sono incontrate tutte insieme per la prima volte per un confronto fra esperienze e progetti che compongono una realtà molto variegata e complessa.
Ne è emersa una volontà forte e condivisa di costituire una rete permanente e di creare un’organizzazione di tutti i biodistretti sia italiani sia europei allo scopo di elaborare strategie comuni e di produrre servizi integrati per facilitare sia l’attività dei biodistretti esistenti, sia di quelli che si vogliono costituire.

Il “modello” biodistretto - Ultima modifica: 2014-03-25T00:00:00+01:00 da Redazione

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